Criminologia

Uso improprio di internet e dei Social da parte dei minori e dovere di vigilanza dei genitori

I pericoli ai quali il minore è esposto nell’uso dei Social e in genere di tutta la Rete impongono la necessità della tutela dei ragazzi e della conoscenza degli obblighi inerenti alla responsabilità dei genitori.

Ciò che emerge dagli studi di questi ultimi anni è un improvviso cambiamento di direzione negli interessi degli adolescenti e dei minori in genere, con una brusca impennata nell’uso (spesso, non adeguatamente controllato) delle tecnologie informatiche e della rete, con tutti i problemi e i pericoli che questa nuova forma di progresso ha portato nella nostra società. La tecnologia, in realtà, corre, viaggia sulle sue fibre ottiche e nelle menti eccezionali dei giovani, sottoponendoli, però, a una serie di rischi di cui, il più delle volte, non hanno il minimo sentore. Un’altra cosa inquietante è il persistente divario generazionale tra genitori e figli, di cui oramai parlano anche molti libri e articoli di stampa. Per la prima volta nella storia dell’umanità, i figli ne sanno più dei genitori e questo sconvolge alcuni paradigmi sociali e frammenta certezze e abitudini di vita, tipici della generazione degli attuali quaranta e cinquantenni.

Le notizie sconcertanti che ci arrivano dalla rete circa comportamenti anomali e molto pericolosi da parte dei minori sul web, che spesso degenerano in veri e propri reati con eventi ad altissimo rischio o addirittura con vittime e decessi, ci inducono a riflettere su cosa sta succedendo e dove, noi genitori, stiamo sbagliando.

Ci sono stati molti dibattiti riguardanti l’esercizio, da parte dei ragazzi, del diritto di libertà, ovvero, comunicare e ricevere informazioni e quindi il diritto di espressione come recita la Convenzione di Roma del 1950 e come la nostra Costituzione che nell’art. 21 sancisce il diritto di ogni persona di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione.

Questo irrinunciabile diritto si scontra, però, con l’immaturità dei nostri adolescenti. Le ragioni della loro vulnerabilità sono dovute principalmente al fatto che il cervello di un adolescente è in piena maturazione, in particolare della corteccia prefrontale, deputata al controllo razionale delle emozioni (Umberto Galimberti).

«Durante l’adolescenza lo sviluppo cerebrale non è ancora completo e non c’è una comunicazione efficace tra le varie regioni cerebrali. Accade quindi che le emozioni possano emergere in maniera rapida e intensa senza che le funzioni esecutive presenti nella corteccia prefrontale, in via di sviluppo, riescano a fungere da regolatori. Ecco perché gli adolescenti sono spesso governati dall’azione più che dalla riflessione e dall’emozione più che dalla ragione. Questo già di per sé li espone proprio fisiologicamente a maggiori rischi, per via del ridotto senso del limite e del pericolo.[1]»

Negli adolescenti, inoltre, c’è una tendenza alla soddisfazione immediata del piacere e a ricercare le ricompense medio-alte e quelle più vicine, quindi, la corteccia non è ancora in grado di inibire e controllare pienamente la tendenza a scaricare in maniera più impulsiva le emozioni.

Sembra logico dedurre una vera e propria responsabilità civile e penale dei genitori a proposito degli illeciti che i minori possono compiere utilizzando la tecnologia di cui dispongono già da bambini, senza trascurare il pericolo per lo sviluppo psicofisico dei propri figli dovuto anche a una scarsa educazione e una minore vigilanza da parte di chi ha la potestà genitoriale.

Il dovere di ogni genitore consiste, per questo, nel prevenire eventuali abusi che potrebbero essere subiti dal figlio e nell’evitare che sia lui stesso a cagionare danni ad altri.

Come abbiamo appena accennato la responsabilità dei genitori potrebbe essere di natura civile o penale. Per quanto riguarda il “civile”, ci viene in aiuto l’art. 2048 del codice civile, che recita: “Il padre e la madre, o  il  tutore,  sono  responsabili  del  danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o  delle persone soggette  alla  tutela,  che  abitano  con  essi.  La  stessa disposizione si applica all’affiliante. I precettori e coloro che insegnano  un  mestiere  o  un’arte  sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro  allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone  indicate  dai  commi  precedenti  sono  liberate  dalla responsabilità soltanto se provano di non aver  potuto  impedire  il fatto”.

Si applica la cosiddetta “responsabilità oggettiva” (Cass. 2413/2014 e 3964/2014). La Suprema Corte ha, infatti, specificato che “…deve ritenersi presunta la culpa in educando dei genitori, qualora il fatto illecito commesso dal figlio minore sia di tale gravità da rendere evidente la sua incapacità di percepire il disvalore della propria condotta, confermando il principio per cui i genitori di un figlio minorenne con essi convivente possono sottrarsi alla responsabilità ex art. 2048 c.c. solo nel caso in cui dimostrino l’assenza di una loro culpa in vigilando e in educando, con la precisazione che, in talune fattispecie, è possibile ritenere in re ipsa la culpa in educando e, pertanto, non è sufficiente un’allegazione generica, bensì è necessario fornire una prova specifica e rigorosa sulla correttezza dell’educazione impartita.[2].

Situazione diversa riguardo agli illeciti penali. Per la legge italiana, i minorenni sono divisi in due categorie, i minori di quattordici anni e quelli fra i quattordici e i diciotto anni. Mentre i primi sono considerati assolutamente incapaci di intendere e di volere, i secondi sono soggetti a un accertamento della loro imputabilità da parte del giudice. L’imputabilità del minore è quindi subordinata a un criterio cronologico:

•             fino a quattordici anni il minore non è mai imputabile, perché nei suoi confronti è prevista una presunzione assoluta d’incapacità, senza cioè prova contraria. L’art. 97 del codice penale italiano, stabilisce, infatti, che «non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni»;

•             fra i quattordici e i diciotto anni il minore è imputabile solo se il giudice ha accertato che al momento del fatto aveva la capacità di intendere e di volere. L’art. 98 rinuncia, infatti, a qualsiasi presunzione e subordina l’eventuale affermazione della responsabilità penale al concreto accertamento della capacità naturale: «è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto quattordici anni, ma non ancora diciotto, se aveva la capacità di intendere e di volere».

A questo punto è chiaro che il minore che si trovasse a intraprendere qualche attività di quelle sopra accennate che comportino una riconducibilità a qualche fattispecie di natura penale, in questo caso soprattutto quelle comprese nel termine computer crime, si troverebbe naturalmente sottoposto a procedimento penale presso il Tribunale dei Minorenni della sua giurisdizione. In questo caso, la giurisprudenza di merito, ha affermato che: “Il dovere di vigilanza dei genitori deve sostanziarsi in una limitazione sia quantitativa sia qualitativa di quell’accesso, al fine di evitare che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo possa essere utilizzato in modo non adeguato da parte dei minori (Trib. Teramo, 16 gennaio 2012)”.

Più nello specifico, il Tribunale di Parma, con sentenza 5 agosto 2020, ha confermato che il diritto-dovere dei genitori di educare i propri figli comprende anche l’educazione digitale dei minori, specificando nel caso di specie che “i contenuti presenti sui telefoni cellulari dei minori andranno costantemente supervisionati da entrambi i genitori, in modo da evitare la comparsa di materiali non adatti all’età e alla formazione educativa dei minori. La stessa regola vale anche per l’utilizzo eventuale del computer, al quale andranno applicati i necessari dispositivi di filtro”.

A molti genitori, però, non sono chiare alcuni semplici direttive internazionali e nazionali che regolano, di fatto, l’uso della rete e soprattutto dei social network. Secondo la normativa vigente, per utilizzare i social network occorre aver compiuto i quattordici anni. Questo non esclude la possibilità di farlo anche tra i tredici e i quattordici anni, ma sempre e solo sotto la supervisione dei genitori. Sotto i tredici anni è assolutamente vietata l’iscrizione a qualsiasi tipo di social network, così come l’uso, ma questa è pura utopia e i dati statistici presenti in rete ce lo dimostrano:

– l’85% dei ragazzi tra i dieci e i quattordici anni possiede un profilo social

– il 22% al momento dell’iscrizione non ha indicato la sua vera età, e spesso con l’aiuto incosciente da parte dei genitori

– il 91% non parla con i genitori di quello che vede o sente su internet.

Resta un dovere non delegabile da parte dei genitori, quello di vigilare e istruire i propri figli sul corretto uso della rete impartendo loro delle semplici regole:

– non diffondere mai informazioni personali;

– rispettare gli altri (cyberbullismo);

– non accettare mai appuntamenti off line;

– stare molto attenti alla propria privacy e a quella degli altri (Revenge porn);

– navigare sempre tramite programmi sicuri al fine di evitare insidie e siti pericolosi (evitare il deep web molto frequente tra gli adolescenti);

– in caso di dubbio è opportuno chiedere sempre al genitore.

Educare e istruire i minori determina la conoscenza degli argomenti trattati e soprattutto dei propri figli in modo da adattare le informazioni e le regole da impartire, assicurandosi così che siano ben comprese dai ragazzi. È importante stabilire un limite di tempo attraverso il quale il minore può navigare in internet, sempre impostando delle limitazioni attraverso il parental control, per evitare la ormai tristemente nota dipendenza da social. Questo problema, purtroppo, non riguarda solo i minori ma anche il genitore tanto da essere motivo di responsabilità endofamiliare, e la dipendenza dai social network comporta, altresì, la violazione dei doveri educativi nei confronti dei figli. Ma questa è un’altra storia…


[1] Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta ed esperto di dipendenze tecnologiche

[2] Antonella Dario Il Sole 24 ore 22 Gennaio 2021

Francesco Caccetta

Criminologo; Ufficiale R.Str.E. dei Carabinieri; Laureato con lode in Laurea Magistrale in Ricerca Sociale per la sicurezza interna ed esterna, Laureato con lode in Scienze per l’investigazione e la Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della consulenza peritale. Autore del libro sul Controllo del Vicinato "L'occasione fa bene al ladro".

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