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RITORNO AL FUTURO DELLA SICUREZZA PARTECIPATA

RITORNO AL FUTURO DEL CONTROLLO DI VICINATO

Di Francesco Caccetta

“Nessun uomo è un’isola…”

Jhon Donne

“No Man is an Island” è un estratto da un’opera scritta da John Donne. L’autore, sostiene che ogni essere umano è connesso a ogni altro essere umano paragonando l’umanità stessa a una vasta massa continentale. Nessuno è “un’isola” nel senso che nessuno è separato da questo metaforico “continente”; solo per il fatto di essere umani, ognuno fa parte dell’umanità. Questo fantastico scrittore esalta l’importanza della connessione e della comunità. Il continente umano è costituito da singoli appezzamenti di terra che rappresentano singole persone. Quando tutte quelle “zolle” si uniscono, formano qualcosa di più grande e più forte di loro. Da sola, una zolla potrebbe “essere spazzata via dal mare”. La metafora di Donne ci ricorda che le persone sono creature sociali e che nessuno può essere veramente autosufficiente; le persone hanno bisogno l’una dell’altra e sopravvivono meglio insieme che separate. Poiché le persone sono tutte connesse, continua Donne, ciò che accade a un singolo individuo  colpisce tutti gli altri. La perdita di una singola “zolla” diminuisce il continente metaforico dell’umanità. Fondamentalmente, Donne sta insinuando che nessuno è sacrificabile. Chiunque sia veramente “coinvolto” con l’umanità è direttamente influenzato dalle cose che accadono ad altri esseri umani. Jhon Donne recita: “La morte di ogni uomo mi diminuisce” e ci dice di non chiedere “per chi suona la campana” (Il pensiero di Donne fu poi ripreso da Ernest Hemingway in “Per chi suona la campana” nel 1940). Cioè, non abbiamo bisogno di chiedere per chi sta arrivando la morte, perché arriverà per tutti . Con questo, ci invita a riflettere sul fatto che le persone dovrebbero gioire dell’essere vivi e, mentre sono in vita, accettare di far parte della più ampia famiglia umana. “La metafora utilizzata dal poeta cinquecentesco è ormai entrata nel linguaggio comune ed è scolpita nelle nostre menti come una certezza ineludibile: Nessun uomo è un’isola, una verità sociologica e antropologica, talmente inoppugnabile da diventare un assioma scientifico”[1]. John Donne tramite l’affermazione “Nessun uomo è un’isola” ci ricorda il senso di comunità che nel corso della Storia abbiamo più volte dimenticato. L’individualismo, che ormai permea tutte le società occidentali, ci sta facendo regredire al vecchio, e ai più sconosciuto, stato di natura di Hobbesiana memoria.

La Sicurezza è uno dei temi che da sempre ha tenuto insieme gli italiani, sia quelli del popolo, sia i rappresentanti politici. Le campagne elettorali hanno sempre brillato nell’astro della Sicurezza e della paura del crimine, proponendo, da tutti gli schieramenti politici, soluzioni al problema più o meno fantasiose e apparentemente semplici da realizzare (ma non ancora realizzate). Gli esiti li vediamo nella produzione abbondante di dati statistici che ci informano, ogni anno, delle tendenze criminali e della cosiddetta “Sicurezza” nel nostro Paese. La lettura di questi dati, se da una parte invece di rassicurare, impressiona e preoccupa, dall’altra parte illude e disorienta. Vediamo Regioni italiane con esponente crescita di reati predatori e/o a sfondo sessuale, truffe informatiche e quelle note come truffe agli anziani (che in realtà sono anch’esse reati predatori traducibili in furti con destrezza o rapine) e altre Regioni dove gli stessi reati diminuiscono. Quali sono le cause di queste divergenze statistiche, o meglio, quale chiave di lettura possiamo dare a questi dati? Senza nulla togliere alla veridicità di questi numeri, frutto di analisi puntigliose dei vari Istituti a ciò preposti, sulla cui serietà nulla quaestio, proviamo a ragionare lontani dalle mere statistiche. L’Italia, come la immaginiamo da prima del 1860, per alcuni versi non è molto cambiata, ogni territorio presenta caratteristiche diverse e anche le tipologie di reato, la propensione alle denunce e la risposta degli abitanti in termini di partecipazione alla prevenzione, cambiano da luogo a luogo. La criminologia ci viene in aiuto. Ciò che la distingue dalle altre scienze sociali è l’ampiezza del campo di indagine, poiché non è preso in considerazione solo il crimine, ma anche tutto ciò che gira attorno ad esso (autore del reato, fattori ambientali, reazione sociale, le vittime, i fenomeni di devianza, ecc.). È una scienza teorica e pratica allo stesso tempo, poiché si pone come obiettivo la ricerca di rapporti causali, correlazioni e variabili nella sua osservazione. La criminologia si avvale degli studi antropologici e sociologici per individuare le cause del crimine. Gli studi antropologici riguardano i fattori organici, psicologici, motivazionali, psicosociali che possono aver indotto il comportamento di chi ha commesso il crimine, studiando anche i fattori microsociali nei quali la personalità si è sviluppata. Nel campo della sociologia, invece, si valutano i fattori macrosociali che da sempre, sono riconosciuti come basi dell’emersione criminale. La perpetrazione del crimine, varia moltissimo nel nostro territorio nazionale e le motivazioni sono diverse e impossibili da elencare in questo lavoro e suggerisco per gli opportuni approfondimenti, la lettura di un buon manuale di Criminologia generale. Le teorie sociologiche che possiamo ritenere fondamentali sono le seguenti:

•          L’anomia

•          Le dinamiche di disorganizzazione sociale

•          Il deficit di socializzazione

•          Il deficit di mezzi per raggiungere le mete sociali

•          Le associazioni differenziali e l’apprendimento del crimine

•          le opportunità differenziali

•          la Scuola di Chicago e l’influenza della città sul crimine

In conformità a queste teorie, possiamo comunque dedurre che le principali dimensioni criminologiche dello street crime, come ci ricorda il criminologo Marco Strano[2] possono essere così riassunte:

•          Nell’ambito della criminalità predatoria di strada possono includersi atti criminali di diversa natura e di diversa gravità;

•          Tendenzialmente il danno subito dalle vittime è assai maggiore di quello immaginato dalle strutture istituzionali tradizionali;

•          Esiste una forte correlazione di queste forme criminali con situazioni di disagio sociale, esclusione e anomia;

•          Assenza, nella maggior parte dei casi, di una qualsiasi relazione di conoscenza pregressa tra autore e vittima antecedente al fatto criminale;

•          Alta recidiva degli autori di questo genere di crimine;

•          Grande variabilità nelle caratteristiche degli autori sia in termini di età sia di spessore criminale e di ceto;

•          Elevato numero oscuro: mediamente solo il 35,7% di questo genere di reati (consumati e tentati) è riportato alle forze dell’ordine. Il numero oscuro ovviamente varia secondo il tipo di reato, delle caratteristiche culturali della vittima e dell’entità del danno sia economico che fisico provocato.

Tali caratteristiche dovrebbero rappresentare la base conoscitiva di partenza per attivare iniziative di prevenzione e di repressione di questi fenomeni. La recente pandemia ha risvegliato l’individualismo nel nostro Paese e da questo ne traggono vantaggio tutte le forme di criminalità. Le soluzioni al problema purtroppo sono complicate e dovrebbero essere studiate dagli addetti ai lavori, quindi, dal Parlamento e dalle forze di polizia. Resta comunque valido il concetto di sicurezza partecipata che relega al semplice cittadino una parte del lavoro per riuscire a rendere meno facile la commissione dei reati nel territorio di appartenenza. Le tecniche individuate dal progetto del controllo di vicinato possono senza dubbio concorrere al risultato finale. Nei primi anni duemila, ho personalmente studiato il fenomeno dei reati predatori, al fine di diminuire la commissione degli stessi, individuando nel cittadino/vittima l’elemento principale per impedire ai ladri di agire indisturbati. Il primo studio permetteva la realizzazione del “Progetto prevenzione furti” agilmente adattato dagli abitanti di alcune realtà del litorale romano e in seguito in un territorio dell’Umbria. I risultati apparivano da subito incoraggianti con un crollo dei furti e delle truffe nei luoghi sopra indicati. La successiva fase consisteva nell’integrare il progetto con le teorie dei Neighbourhood Watch e l’adozione del relativo cartello di segnalazione apposto nelle vie dove il programma veniva adottato, con i suggerimenti e le idee di Gianfrancesco Caccia e Leonardo Campanale. La partecipazione dei semplici cittadini alle pratiche di “Sicurezza” non entusiasma le Istituzioni che ne temono (a volte giustificate) escalation pericolose e fuori controllo. Questa previsione non è completamente errata poiché il controllo sulle persone che assumono cariche all’interno dei gruppi spontanei di controllo di vicinato, non è agevole e spesso non realizzabile. Non sono state poche le situazioni che, nel corso di questi ultimi anni di sperimentazione del progetto, hanno dato luogo a improvvisazioni molto vicine alla deriva delle ronde. Il differente approccio di alcune Prefetture che non consentiva la nascita e lo sviluppo del progetto in alcune zone della Nazione testimonia questa condivisibile supposizione. Il venir meno delle aspettative di supporto da parte delle Istituzioni (prefetture e forze dell’ordine, comprese alcune Polizie locali) scoraggia le aggregazioni dei cittadini e di conseguenza impedisce la diminuzione dei reati in alcuni territori e la conseguente coesione sociale tra gli abitanti, danneggiando lo stesso concetto di sicurezza partecipata. Come si può partecipare se si smorza ogni entusiasmo? La società cambia continuamente e, per questo, cambiano anche i comportamenti delle persone, passando da stimolanti iniziative di compartecipazione a ritiro sociale e paura del prossimo. Il controllo di vicinato limita questi comportamenti e regola la paura, puntando sul “mal comune mezzo gaudio” e sul mutuo soccorso. Crediamo che in questo momento storico dovremmo smetterla di guardare ai numeri delle statistiche dei reati, tornando, invece, al concetto di resilienza e comunità. Sono sempre stato convinto che il supporto delle Istituzioni sia importante per la completa realizzazione del progetto, ma non indispensabile. Il controllo di vicinato o meglio la “comunità di vicinato” (cit. Leonardo Campanale) può ritrovare il giusto input per ricominciare a pensare a una comunità coesa e impenetrabile adottando gli sperimentati metodi di self protection che sono stati insegnati dalle associazioni di controllo di vicinato. La coesione sociale, l’eliminazione delle proprie vulnerabilità ambientali e comportamentali e il corretto supporto alle forze dell’ordine con segnalazioni qualificate, fa dei cittadini uno scudo contro i delinquenti incursori dei nostri territori. Tutto questo, con il chiaro e inderogabile concetto che la persecuzione dei rei rimanga di esclusiva competenza delle forze dell’ordine e di nessun altro. Allargare le “competenze” e i compiti degli aderenti al progetto del controllo di vicinato con argomenti di Sicurezza e di natura penale, confonderebbe le persone, renderebbe difficile l’approvazione da parte delle stesse Istituzioni e comporterebbe inevitabili ostacoli e fallimenti del programma. La parola d’ordine, in questo caso, è: Rientrare nei ranghi, che significa decidere in qualche modo di assoggettarsi nuovamente alle regole che gerarchizzano l’insieme ordinato di cui si torna a fare parte. Stare al proprio posto vuol dire, anche, occupare una precisa, e certa, posizione. Non guardiamo più i numeri delle statistiche, non ci improvvisiamo soldati e non scimmiottiamo le forze dell’ordine. Il controllo di vicinato dovrebbe tornare agli albori che lo hanno visto come un valido progetto di sicurezza partecipata, con l’umiltà di chi vuole servire il prossimo e aiutare gli enti legittimamente preposti alla salvaguardia delle libere Istituzioni, senza sostituirsi a esse e senza volerne a tutti i costi un riconoscimento ufficiale. Come più volte nel corso di questi lunghi anni dalla nascita del controllo del vicinato, torno a ricordare il concetto di partenza del sodalizio, elegantemente espresso da Robert Putnam: “farò questo per te senza attendermi in cambio nulla di preciso, nella fiduciosa prospettiva che qualcun altro, strada facendo, farà qualcosa per me”. Niente di più.


[1] Alice Figini https://www.sololibri.net/nessun-uomo-e-un-isola-significato-john-donne-poesia.html

[2] “Street Crime – Criminologia prevenzione investigazione”, a cura di Marco Strano, Francesco Caccetta e altri, Roma 2017

Francesco Caccetta

Criminologo; Ufficiale R.Str.E. dei Carabinieri; Laureato con lode in Laurea Magistrale in Ricerca Sociale per la sicurezza interna ed esterna, Laureato con lode in Scienze per l’investigazione e la Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della consulenza peritale. Autore del libro sul Controllo del Vicinato "L'occasione fa bene al ladro".

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