HOMO HOMINI HATER

“Questa è un’epoca dove tutto viene messo in vista sulla finestra
per occultare il vuoto della stanza”
Dalai Lama Tenzin Gyatso
Si parla sempre più spesso dell’aumento del cyberbullismo, del comportamento irresponsabile dei giovani e degli adolescenti, di un imbarbarimento senza ritorno, ma quale analisi è stata fatta per comprendere meglio cosa sta succedendo nel mondo e soprattutto in Italia? Senza presunzione di verità, proviamo a fare un ragionamento generale sulle nuove vision delle ultime generazioni. La ricerca spasmodica di pochi attimi di popolarità, la crescita esponenziale di “influencer” di ogni età e genere, non sono altro che conferme del desiderio egoico del nuovo genere umano, una sorta di narcisismo antropologico che sta permeando ogni espressione di vita intelligente, agevolato dal ricorso alla rete. Quest’ultima, tramite i social media, è la piattaforma di lancio per aspiranti altruisti che si specializzano su sé stessi, attraverso una auto-referenzialità, egoismo, ovvero ogni altra declinazione malformata dell’ego. L’Ego egoico possiamo definirlo: “Atteggiamento che implica la subordinazione dell’altrui volontà e degli altrui valori alla propria personalità; come amore eccessivo ed esclusivo di sé stesso o valutazione esagerata delle proprie prerogative, che porta alla ricerca permanente del proprio vantaggio, alla subordinazione delle altrui esigenze alle proprie e alla esclusione del prossimo dal godimento dei beni posseduti.” (dal web). Se andiamo indietro nel tempo e ci lasciamo andare ad una riflessione di natura socio-antropologica, non possiamo fare a meno di constatare che tutto questo non è nuovo nel genere umano. Noi non siamo buoni, non lo siamo mai stati o perlomeno abbiamo iniziato a fingere di esserlo dopo il “contratto sociale” di Thomas Hobbes e cioè quando abbiamo capito che lo stato di natura non ci avrebbe condotto alla sopravvivenza. Come dice il filosofo Umberto Galimberti, i cosiddetti “valori”, che regolano una società, non sono altro che coefficienti sociali per limitare i conflitti (che invece sono naturali nell’uomo) e permetterci la convivenza. “Homo Homini Lupus” ovvero “L’uomo è un lupo per l’uomo”. Proverbio popolare romano di Plauto (morto nel 184 a.C.), nella sua Asinaria. Thomas Hobbes lo utilizzò in seguito nel suo “De cive, Epistola dedicatoria”. Ancora oggi, utilizziamo questa espressione latina sia in maniera ironica, sia seriamente, per evidenziare la malvagità, l’egoismo e la malizia dell’uomo; in questo senso ha praticamente il valore dell’altrettanto celebre detto “mors tua vita mea”. Le opere dei filosofi ci tramandano una visione dell’essere umano quale creatura egoista, le cui azioni sono determinate soltanto dall’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione. Si nega che l’uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale. Se gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, disciplinando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto soltanto al timore reciproco. Questo concetto dell’uomo nello stato di natura è stato ripreso e discusso nel XVII secolo dal filosofo inglese Thomas Hobbes. Nello stato di natura, non esiste alcuna legge, ciascuno è mosso dal suo più intimo istinto, con l’unico intento di danneggiare gli altri e eliminare chiunque possa rappresentare un ostacolo al soddisfacimento dei propri desideri. Ognuno, così, vedrebbe nel prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in un continuo bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti), nel quale non esiste il torto o la ragione che solo la legge può distinguere, ma unicamente il diritto di ciascuno su ogni cosa, anche sulla vita altrui. Stiamo assistendo ad un decadimento morale, in una collettività nichilista dove la società della rete è lo specchio di quella reale, nella quale non si teme la punizione e non si conoscono più i sentimenti e la dimensione egoica cresce e diventa incontenibile. “Solo una parte di noi è sana di mente: solo una parte di noi ama il piacere e il giorno più lungo della felicità, vuole vivere fino ai novant’anni e morire in pace, in una casa che abbiamo costruito, che ospiterà coloro che verranno dopo di noi. L’altro metà di noi è quasi pazzo. Preferisce il sgradevole al piacevole, ama il dolore e la sua più oscura disperazione notturna, e vuole morire in una catastrofe che riporterà la vita ai suoi inizi e non lascerà nulla della nostra casa tranne le sue fondamenta annerite.” Rebecca West – Black Lamb e Grey Falcon. Quando la dimensione egoica assume caratteri di sempre maggiore prevalenza e assolutezza rispetto ad altre dimensioni relazionali, come la comprensione, la capacità di ascolto, l’empatia, la situazione si inasprisce e penalizza soprattutto le relazioni intersoggettive. Tutti aspetti sui cui riflettere e ai quali ci sembra necessario aggiungere il fallimento di un intero modello culturale, incapace di trasmettere solidarietà, emancipazione e promozione sociale, da sempre solidi capisaldi della comunità e del vivere collettivo. Abbiamo parlato di nichilismo, quale condizione che determina il comportamento dei nostri giovani. Per Nietzsche l’età del nichilismo è quella in cui manca lo scopo, manca la risposta al perché ci si deve impegnare, e, infine, tutti i valori si svalutano. Una definizione perfetta del nostro tempo. Nietzsche credeva che sarebbe stato compreso dopo 50 anni. Noi per capirlo abbiamo impiegato 150 anni. È questo non voler vedere il futuro (poiché oscuro e minaccioso) che determina l’attuale comportamento degli adolescenti, e quindi dei giovani. «L’adolescenza è un’età inquieta. Durante questa fase si hanno il massimo delle pulsioni sessuali e aggressive, oltre al minimo del controllo razionale, perché i lobi frontali, che sono quelli della razionalità, arrivano alla maturazione intorno ai vent’anni. I giovani di oggi, però, non soffrono solo di una difficoltà psicologica comune a tutta l’adolescenza, ma anche di una dimensione culturale legata alla cultura del nostro tempo in rapporto al futuro. Quindi c’è una sofferenza doppia, con la seconda più grave della prima» (Umberto Galimberti). La capacità di giudizio, il controllo degli impulsi, la competenza nella pianificazione degli eventi e prendere decisioni considerando i pro e i contro, il saper attendere e avere la pazienza di non ottenere tutto e subito, comprendere le intenzioni e il punto di vista degli altri, tutte queste funzioni sono “governate” dalla porzione più anteriore del cervello, i lobi frontali, e in particolare dalle connessioni che una parte di questi (le aree prefrontali) stabiliscono con altre aree del cervello. Tutte queste caratteristiche (giudizio, pianificazione, attesa, mettersi nei panni degli altri) sembrano estranee agli adolescenti. Tutto questo impianto, unito alla facilità di procurarsi mezzi (internet e i social) per dare sfogo alla fantasia narcisistica presente, ancorché in quantità e qualità diversa, in ogni essere umano, potrebbe già spiegare il fenomeno degli Haters. Questi personaggi, sono soggetti che interagiscono con gli altri tramite messaggi volutamente provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso e/o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi. Gli haters, in realtà, sono vittime delle loro stesse paure, della loro scarsa cultura, della mancanza di empatia. Sono fragili e per non mostrarsi così si identificano con ideologie che ritengono importanti. L’atteggiamento egoico è rappresentato da un’autostima allargata, forse dovuta a una concreta insicurezza che in realtà nasconde una bassa autostima. Il professor Renato Pilutti, filosofo e teologo friulano PhD ci ricorda che “Uno si tira su” perché “si sente giù”. Questo ci dovrebbe insegnare che è meglio riflettere serenamente su sé stessi evitando di voler sembrare diversi da come si è effettivamente. L’egoità è una deformazione del carattere e dei comportamenti relazionali, tra le più dannose e pericolose, che si ripercuote nei rapporti interpersonali affettivi e in quelli sociali e di lavoro[1]. Cosa fare, quindi, con gli Haters? Gli psicologi dell’Ordine dell’Emilia Romagna sostengono che “è urgente l’attivazione di interventi di prevenzione e di contrasto che coinvolgano soprattutto la dimensione psicologica e socio-culturale delle persone, per dar vita a un processo di delegittimazione della violenza che sempre più spesso pare manifestarsi senza argini”. E allora, seguiamo i consigli del già citato Galimberti: insegniamo ai giovani i Sentimenti, a mezzo della letteratura, riavviciniamoli ai libri, anche a quelli classici Cosa c’è di più esaustivo e coinvolgente del “Simposio” di Platone per comprendere il sentimento dell’amore? Per fare questo conta molto l’impegno degli insegnanti, soprattutto nelle scuole secondarie di ogni grado. Serve passione nell’insegnamento, il docente per primo deve crederci e dovrebbe essere supportato da una classe politica attenta all’importanza della cultura come arma contro la crescente violenza fisica e intellettuale. Servono classi con meno discenti, eliminando l’effetto pollaio che inibisce qualsiasi volontà di rinnovamento e di crescita. Crediamo che, per iniziare, la ricetta ci sia e sia quella giusta, gli ingredienti ci sono tutti. Cosa manca, allora? Come ci insegna Platone, tutte le cose, affinché possano dare buoni risultati, non devono mancare della componente più importante: l’amore. Le azioni compiute con amore non hanno altro esito che la riuscita. L’amore è desiderio, quindi, bisogna trovare quella forza di cercare quello che ci manca e anelare di trovarlo, con tutti i mezzi possibili. Solo così, l’homo homini lupus potrà tornare ad essere un mero antico proverbio pessimistico.