Criminologia

Impariamo a cercarli

Persone scomparse AlzheimerScomparsa di persone con malattia di Alzheimer: le strategie di ricerca.

 

Di Francesco Caccetta[1]

 

Troppo spesso si sente parlare di anziani spariti da casa e, il più delle volte, la notizia viene accompagnata dalla precisazione “soffre di Alzheimer”…

Queste scomparse, a volte culminano con il ritrovamento del cadavere del poveretto di turno che non è stato tratto in salvo in tempo.

Gli studi del settore, specialmente quelli svolti in America, hanno dato modo di riscontrare che, gli anziani malati di Alzheimer che si smarriscono, hanno più probabilità di restare in vita, quanto è più veloce e precisa la ricerca.

La malattia di Alzheimer (AD) è la malattia che provoca demenza, una sindrome caratterizzata da una progressiva perdita di memoria, confusione, irritabilità e aggressività, sbalzi di umore, difficoltà nel linguaggio e progressive disfunzioni sensoriali. L’Alzheimer Association (U.S.) stima che attualmente ci sono più di 5,4 milioni di persone affette da questa grave malattia e prevede che il numero possa addirittura raddoppiare entro il 2050[2].

La perdita di memoria, l’incapacità di pensare chiaramente, di riconoscere persone o luoghi o altri oggetti familiari, spesso porta la persona affetta dalla malattia, ad agire in modo irrazionale, nelle situazioni che la maggior parte delle persone considererebbe normali, rendendola particolarmente soggetta a rischio di scomparsa.

Una volta che la persona si è persa, questi deficit possono causare una grande confusione e di conseguenza l’incapacità di capire dove si trova in quel momento e ritrovare la strada di casa, anche in luoghi familiari. L’incapacità di ricordare il proprio nome e l’indirizzo di casa, unito alla tendenza a fare errori di giudizio, sono le cause che mettono in pericolo di vita queste persone.

Bisogna rendersi conto che questo problema, può accadere ad un anziano accudito da qualcuno e con una malattia conclamata, che per qualsiasi ragione si allontana dal suo caregiver, ma anche ad un anziano, apparentemente sano, che improvvisamente inizia ad avere i sintomi della malattia, magari mentre è alla guida della sua autovettura e lontano da casa.

La scomparsa di queste persone, richiede pertanto un immediato intervento da parte dei ricercatori che andranno ben istruiti sul da farsi, perché è importante ricordare, che non si tratta di cercare una semplice persona smarrita, perché si ha a che fare con una persona che ha comportamenti irrazionali e che molto probabilmente non offrirà la sua collaborazione per farsi trovare, neanche se un soccorritore gli passerà a pochi metri…

E’ importante che tutti conoscano questo particolare, in quanto non solo i ricercatori, ma anche qualsiasi persona che passeggia potrebbe salvare la vita di un malato di Alzheimer se conscia dei pericoli che questi poveretti rischiano quando si perdono, semplicemente chiamando i numeri di emergenza, segnalando quello che secondo loro è un caso a rischio.

Credo per questo, che siano necessarie alcune informazioni importanti, per aiutare le squadre di soccorso organizzate dagli enti preposti (Comune, con la Protezione Civile, le Forze di Polizia ed i gruppi di volontari) e per tutti gli altri cittadini che potrebbero imbattersi in una di queste persone, al fine di rendere più efficaci le ricerche ed il soccorso.

E’ bene, innanzitutto sapere, che le persone malate di Alzheimer che si perdono, sono solite addentrarsi in aree appartate e naturali come i boschi e rimanervi a volte fino alla morte. Come abbiamo detto, i comportamenti possono essere irrazionali, arrivando anche a non riconoscere una persona in uniforme e non comprendere l’utilità in quel momento di chiedergli aiuto.

Negli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti d’America, sono stati fatti importanti progressi e molti dipartimenti di Polizia, adesso, nei loro codici di servizio non classificano più questi casi come “persone scomparse” ma come “individui in pericolo” e, di conseguenza, hanno capito che queste situazioni vanno affrontate velocemente, perché ogni ritardo o errore, significa aumentare le probabilità di trovare la persona ormai deceduta.

Negli ultimi 10 anni, in America, Rowe[3] e il suo team di ricerca hanno condotto una serie di studi che hanno fornito alcune informazioni importanti per le forze dell’ordine, che adesso andiamo a vedere.

Le decisioni, le azioni, e la capacità di chiedere aiuto per gli individui con il morbo di Alzheimer, che da ora definiremo AD (Alzheimer Disease= malattia di Alzheimer) sono gravemente compromesse, e alcune tecniche di ricerca sono fondamentali per localizzare queste persone rapidamente.

Come si comporta il soggetto con AD che si smarrisce?

• non chiede aiuto, spesso non si rende neanche conto che si è perduto;
• non risponde ai ricercatori, anche a coloro che sono nelle immediate vicinanze e lo chiamano per nome;

• alcuni si isolano o si nascondono, tendendo a rimanere isolati fino a che non vengono ritrovati, vivi o morti;

Quali sono i posti in cui cercare il soggetto AD smarrito?

  • In base alle ricerche effettuate negli ultimi anni, si può ragionevolmente presumere che, tra coloro  che sono usciti a piedi, la stragrande maggioranza (oltre il 90 per cento dei casi), continua a camminare nella strade del suo quartiere o nelle immediate vicinanze della zona dove è stato visto l’ultima volta (PLS= place last seen)[4].
  • Quasi il 90 per cento si troverà all’interno di un raggio di 5-8 chilometri, con circa il 40 per cento entro 2 chilometri dal PLS[5].

 

I luoghi dove andrebbero cercati e dove più spesso vengono ritrovati, sono in ordine decrescente:
• i loro stessi quartieri;
• fermi in piedi o seduti, o in movimento per le strade o autostrade;
• in ospedali o nei pronto soccorso.

Questi risultati evidenziano l’importanza sia di una celere comunicazione dello smarrimento ai numeri di emergenza 112 e 113, sia la necessità che le centrali operative di polizia, dispongano le ricerche delle pattuglie e dei ricercatori entro un raggio di 5-8 chilometri dal PLS.

Mentre la maggior parte degli individui vengono trovati durante le ore diurne, circa un quarto viene invece rintracciato durante la notte, questo dimostra l’importanza di continuare la ricerca durante le ore notturne.

C’è una tendenza di alcuni individui di nascondersi, appartarsi in modi imprevedibili e pericolosi, dove un adulto sano di mente non si sognerebbe mai di andare.

Le percentuali derivate dagli studi americani, dicono che quasi il 90% dei soggetti malati di AD, vengono ritrovati in aree naturali come i boschi, i campi, fossati, dirupi, o parchi, e ancora, nelle strutture abbandonate e perfino dentro gli armadi di casa.

Una volta in questi luoghi, le persone spesso si nascondono ulteriormente coprendosi o strisciando in spazi ristretti come cespugli in aree naturali o intercapedini in strutture edilizie magari in cantieri o case in costruzione.

Purtroppo spesso rimangono lì, isolati e nascosti, finché qualcuno non li trova, o purtroppo finché non arriva la morte per varie ragioni spesso naturali, come ad esempio l’ipodermia.

Per questo, ribadisco, è importante che le ricerche vengano da subito condotte bene e velocemente, perché le statistiche ci dicono che il 50% delle persone che non vengono trovate vive entro le 24 ore, purtroppo possono morire.

La strategia di ricerca più efficace è quindi quella a piedi! Gli studi hanno dimostrato come la maggior parte degli individui smarriti, vengono ritrovati a piedi, o da un ricercatore, o per segnalazione di qualche cittadino che avvisa le Forze di Polizia.

Anche gli elicotteri e i cani da ricerca sono spesso utilizzati, ma sono raramente utili al  rintraccio. Gli elicotteri possono ottenere un discreto successo solo nei primi momenti della scomparsa, poiché per mezzo della tecnologia per il rilevamento del calore si può ancora individuare il soggetto, ma com’è noto, un soggetto adulto si raffredda rapidamente e quindi la tecnologia non aiuterebbe più in questo senso.

Da sfatare il luogo comune che vede come “importanti per la ricerca”, le informazioni date dal caregiver, ossia la persona che si prendeva cura del malato di AD, che sia un parente o una badante. In alcuni casi, loro tendono a indirizzare le ricerche su qualche luogo familiare alla vittima, qualche precedente abitazione o un vecchio posto di lavoro, ma come abbiamo visto prima, trattandosi di comportamenti irrazionali, il malato di AD potrebbe essere ovunque e quindi bisogna evitare di perdere tempo con ricerche dettate da logica o deduzione, che presumono comportamenti razionali.

Un ultimo pensiero, pur conscio di non avere esaurito completamente l’argomento,
vorrei dedicarlo alla figura del caregiver, colui che si dedica al malato di AD e lo accudisce tutti i giorni con pazienza e sacrificio. Per queste persone, lo smarrimento del loro assistito, che sia un parente o meno, è psicologicamente provante e può scatenare pericolosi sensi di colpa, specialmente quando si tratta di un figlio o una figlia della persona smarrita. Bisogna quindi spiegare a queste persone, che l’allontanamento del malato di AD non è determinato da una negligenza o scarsa cura del badante, ma da un deficit mentale proprio della malattia e non riconducibile a responsabilità dirette di chi lo accudisce, che nella stragrande maggioranza dei casi, aveva visto il malato appena dieci minuti prima della scomparsa.

È importante che le forze dell’ordine assistano il caregiver, consigliandolo su come attivare una serie di strategie suppletive, per aiutarlo ad avere maggiore controllo del malato di AD, suggerendo ad esempio di rivolgersi alla ASL di competenza per farsi indicare qualche associazione che aiuta sia i malati, sia chi si occupa della loro assistenza.

Riassumendo, possiamo dire che, in caso di scomparsa di una persona malata di AD, è  importante la velocità di comunicare i fatti alle Forze di Polizia, che si adopereranno ad iniziare al più presto possibile le ricerche, al fine di impedire che la persona scomparsa possa arrivare in aree isolate dove è più difficile il rintraccio e di conseguenza più probabile la morte.

La ricerca iniziale si dovrebbe estendere inizialmente tra i 500 metri e un chilometro di raggio dal PLS. In particolare, tutte le aree raggiungibili entro un raggio di un chilometro dovrebbero essere battute a piedi, preferendo le case vicine al punto di smarrimento e le loro pertinenze, l’interno di edifici facilmente accessibili, e una rapida ricerca di strade, autostrade e sentieri, ponti (sotto), capanni ecc.

Pretendere che il caregiver o altro familiare, rimangano in casa e telefonicamente reperibili, per essere subito contattati al momento del rintraccio della persona smarrita che andrà subito riportata nella propria abitazione.

Diffondere in brevissimo tempo la notizia della scomparsa a tutto il vicinato e dove è possibile a tutta la comunità limitrofa al posto dello smarrimento, con tutti i mezzi disponibili (anche social network).

Se le ricerche nel raggio di un chilometro non sono produttive, bisognerà estendere le stesse fino a 5-8 chilometri di raggio dal PLS.

Giova comunque ricordare che, quasi il 90% delle persone con malattia di Alzheimer smarrite, sono state trovate (anche morte) entro un chilometro dall’ultimo avvistamento, e quindi resta fondamentale pianificare la ricerca in modo che ogni centimetro di spazio naturale sia stato ispezionato a piedi, perché come già detto, questi individui riescono a nascondersi bene e purtroppo, l’esperienza dei ricercatori, insegna che quando il corpo senza vita di una persona smarrita (con AD) viene ritrovato, spesso era in una zona già battuta dai ricercatori, che magari gli erano passati accanto senza vederlo.

Poiché il rischio di morte è alto e, come si è detto, i comportamenti di persone perse con AD sono irrazionali, credo sia fondamentale adottare una specifica e sperimentata metodologia di ricerca, con un addestramento ad hoc di ricercatori e Forze di Polizia.

 


[1] Dott. Francesco Caccetta Luogotenente dei Carabinieri, laureato in Scienze per l’investigazione e la sicurezza, Grafologo della consulenza peritale, Master in Antropologia Filosofica e Forense, Criminologia e tecniche investigative avanzate.

[2] Definizione tratta da: “2011 Alzheimer’s Disease Facts and Figures,” Alzheimer’s and Dementia 7, no. 2 (March 2011): 208–244.

[3] Meredeth Rowe et al., “Missing Incidents in Persons with Alzheimer’s Disease: Current Research and Search Strategies,” The Police Chief 78 (November 2011): 66–70.

[4] Tony Hope et al., “Wandering in Dementia: A Longitudinal Study,” International Psychogeriatrics 13, no. 2 (2001): 137–147.

[5] Meredeth A. Rowe and Judith C. Glover, “Antecedents, Descriptions, and Consequences of Wandering in Cognitively-Impaired Adults and the Safe Return (SR) Program,” American Journal of Alzheimer’s Disease and Other Dementias 16, no. 6 (November/December 2001): 344–352, http://con.ufl.edu/dementia/ajadop166nd01.pdf (accessed September 26, 2011); and Meredeth A. Rowe et al., “Persons with Dementia Missing in the Community: Is It Wandering or Something Unique?” BMC Geriatrics 11 (2011): 28,

© Riproduzione Riservata

Francesco Caccetta

Criminologo; Ufficiale R.Str.E. dei Carabinieri; Laureato con lode in Laurea Magistrale in Ricerca Sociale per la sicurezza interna ed esterna, Laureato con lode in Scienze per l’investigazione e la Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della consulenza peritale. Autore del libro sul Controllo del Vicinato "L'occasione fa bene al ladro".

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