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“La trilogia dei colori” di Maxence Fermine

Sono certa che il più grande potere che la lettura abbia, sia quello di farci estraniare e di alienarci da ciò che ci succede intorno. Ho elaborato questo pensiero la prima volta che ho letto “Neve” di Maxence Fermine che ritengo, ad oggi, con cognizione di causa, il più bel libro che abbia mai letto.

“Neige”, in lingua originale, è un testo particolare, del quale non è semplice parlare. È una di quelle cose che non sono fatte per essere raccontate, ma per essere vissute, per essere toccate con mano, da vicino.

Costruito su un’alternanza ben pensata di narrazione “tradizionale” e haiku, componimento giapponese composto da tre versi per complessive diciassette more, il testo non fa riferimento al mondo giapponese solo per quanto riguarda la sua struttura, ma anche per quanto riguarda lo svolgimento della storia. Il protagonista è Yuko, giovane poeta nipponico, al quale viene demandato il compito di raccontare l’amore straordinario, ma lontano nel tempo, fra Soseki, pittore divenuto cieco, e Neve, ragazza bellissima dall’aspetto e dall’atteggiamento regale.

La storia narrata dallo scrittore originario di Albertville è un sogno atemporale, dove magia e sentimenti reali si intersecano per dare vita ad un racconto che tira in ballo varie dicotomie, quali : vita-morte e amore-morte, con una leggerezza e una poesia davvero difficili da riscontrare in altri scrittori. 

“Neve” fa parte di quella che viene chiamata la “trilogia dei colori”: al testo di cui sopra, vanno aggiunti “L’Apicoltore” e “Il Violino Nero” che, ad essere sincera, non hanno la vitalità poetica del libro del 1999, difficile, a mio avviso, non solo da superare, ma anche da eguagliare. In entrambi i casi, possiamo ritrovare la struttura che oserei definire quasi schematica, composta da frasi brevi, ma intense, che caratterizzano la narrativa di Fermine. Ma la composizione formale non è l’unica caratteristica che accomuna i tre testi: anche negli ultimi due citati, la storia ruota attorno ad un unico protagonista, attorno al quale si dipanano più personaggi, dalla configurazione e dalla storia particolarmente romantica e intensa. Se “L’Apicoltore” parla di un giovane che cerca in qualsiasi situazione l’oro della vita, “Il violino nero” narra, sullo sfondo di una Venezia melanconica, ancora di un giovane, che intende “mutare in musica la propria vita”.

Poco importa da quale di questi titoli inizierete, ma sono certa che le storie raccontate dalla penna di Maxence Fermine vi faranno sognare, portandovi in mondi lontani, ma anche dentro voi stessi.

Consigli per l’acquisto: l’edizione illustrata da Georges Lemoine di “Neve”.

 

Francesca Bortoluzzi

Classe 1994, nata a Belluno. Studentessa d'arte a Trento e grande appassionata di musica, soprattutto elettronica. Scrive da anni per vari media, nella perenne ricerca di nuovi stimoli e sensazioni.

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