Musica e spettacolo

“Lose Control? E’ nata in venti minuti, come Piece of Your Heart”: intervista a Meduza

Dopo quest’estate, non servono più presentazioni per Meduza. Simone Giani, Luca De Gregorio e Mattia Vitale sono diventati in pochi mesi il trio “delle meraviglie”, facendo ballare e canticchiare tutto il mondo con le note di “Piece of Your Heart”. Ora è il momento di “Lose Control”, in collaborazione con Becky Hill, che promette, a ragione, di essere un’altra hit. Ma come si conquista un successo del genere e quali sono le responsabilità che ne derivano? Ne abbiamo parlato con Simone Giani.

L’estate è ormai finita, credo sia il momento giusto per tirare le somme: com’è andata quest’estate? 

Sono stati sicuramente dei mesi che ci hanno sorpreso perché non ci aspettavamo un successo del genere, soprattutto con una traccia che nasce dal club e che per esso è stata pensata. Visti i tempi attuali, in cui vanno soprattutto determinati progetti, specie in direzione del reggaeton, non ci aspettavamo un successo così. Quando abbiamo visto che funzionava in Inghilterra, ci siamo detti “Ah ok, ma lì sono pronti per questo”, poi quando abbiamo visto che all’Inghilterra si aggiungeva l’Irlanda abbiamo detto “Vabbè, è la sorella”, poi si è aggiunto il Canada, l’Italia, poi sono iniziati ad arrivare i video dalla Francia, poi dalla Germania ci dicevano “Guardate che qui in Germania è una hit”, idem dal Messico, poi sotto il video di YouTube abbiamo iniziato a leggere i commenti in brasiliano dove scrivevano “La canzone del Brasile”… Vedendo tutto questo ci siamo detti che la situazione ci stava sfuggendo di mano. È un inno del clubbing, alla fine. Siamo molto contenti, è stato qualcosa di inaspettato.

Hai fatto riferimento a questo impatto internazionale che avete avuto e, devo essere onesta, quello che mi ha stupito non è stata tanto questa ricezione italiana, quanto il fatto che voi siete italiani, nel senso che magari certe sonorità me le sarei aspettate più da produttori esteri, magari inglesi o olandesi…

Il motivo te lo spiego subito: noi in realtà sono anni che ascoltiamo tantissimo BBC1, Pete Tong, Annie Mac e quindi diciamo che abbiamo sempre cercato di fare tracce del genere; ma non riuscivamo mai a farle, a farle uscire. Ora abbiamo trovato Universal che ci ha creduto ed è successo quel che è successo. Diciamo però che nel nostro background c’è tantissimo sound UK.

Mi ricordo appunto che tempo fa, quando vi avevo chiesto di fare una playlist, ci avevate messo dentro di tutto, dai Goo Goo Dolls a Duke Dumont passando per i Daft Punk e Bob Sinclar…

Io arrivo dalla musica classica, il repertorio è ampissimo, tra l’altro difficilmente nella mia vita privata ascolto musica prettamente elettronica, mi ascolto veramente di tutto. Ascolto anni ’70, hip hop anni ’90, Mattia so che ascolta tantissimo i Blink-182 piuttosto che il punk, Luca si ascolta le colonne sonore, siamo molto aperti. Quando ascolti musica lo fai per piacere, poi magari assorbi dei linguaggi che appartengono più al tuo genere e li butti dentro a ciò che fai, senza magari neanche accorgertene. Ciò che ascolti si riflette su ciò che fai.

Effettivamente ascoltando solo elettronica magari rischiereste anche di copiare, che alla fine è la cosa peggiore che un produttore possa fare…

Sicuramente. Se ti chiudi dentro solo alcuni artisti o alcuni generi, rischi veramente… Ad esempio: io sono di Milano, ma so che se vado una settimana a Napoli torno con l’accento del posto, e lo faccio involontariamente. Mi rendo conto quindi che se uno si ascolta tre anni di, che ne so, Daft Punk, è chiaro che gli riesca in maniera involontaria di fare quella roba lì. Non è che ascoltiamo di tutto per un motivo specifico comunque…lo abbiamo sempre fatto. Io non ho ricevuto un’educazione musicale dai miei genitori, però mi hanno insegnato ad ascoltare di tutto, Luca e Mattia idem. Quindi siamo produttori dal multi-genere.

Io mi sento di dovervi ringraziare perché mi avete svegliata da un momento in cui la musica “da festival” per me si era un po’atrofizzata… Anche tu hai avuto la stessa sensazione?

Sai, ce lo dicono in tanti. Siamo increduli del fatto che siamo stati noi a “riaccendere gli animi”, siamo increduli soprattutto perché è stato proprio un pezzo con questo sound; prima di noi ci sono riusciti Benny Benassi con “Satisfaction”, piuttosto che Roger Sanchez, Erick Morillo. Devo dire che noi abbiamo sempre avuto come miti questi artisti dei primi anni 2000, ’90, erano artisti che facevano hit che poi andavano in radio. Siamo riusciti a fare quello che ascoltavamo, quelle tracce house un po’ mainstream…siamo riusciti a fare una traccia così.

Hai tirato in ballo nomi davvero grossi, ma quale sarebbe la collaborazione “della vita”?

Eh, dovremmo metterci d’accordo io, Mattia e Luca…

Dai, la tua!

Eric Prydz o Deadmau5! Speriamo colgano l’appello, mai dire mai!

Questa estate, in fondo, ve l’ha insegnato. Parlando di più menti… come funziona in studio da voi? Insomma, siete un trio, immagino non sempre sia facile coordinare le varie teste…

Il segreto è che ci dividiamo i compiti in maniera davvero molto naturale, nel senso che io sono il musicista, quello più creativo che magari porta l’idea, poi c’è Luca che lavora più con le macchine, nonostante comunque le sappiamo usare tutti e tre, ma lui è un fuoriclasse. Mattia invece con la sua esperienza di resident è il DJ del gruppo, anche perché è quello che sta facendo più date, riuscendo ad avere anche l’orecchio più “sul pezzo”, magari facendoci notare particolarità sulla stesura. Ci troviamo molto bene, anche se ti devo confessare che non ci troviamo molto spesso in studio, Mattia comunque ora è in tour e noi quando possiamo lo seguiamo. Diciamo che ci troviamo in studio quando abbiamo l’ispirazione, per me non ha senso stare 24 ore su 24 in studio, abbiamo fatto le cose migliori proprio quando eravamo presi bene. Ad esempio, “Piece of Your Heart” l’abbiamo creata in venti minuti…

Cosa?! Ora voglio sapere tutto!

Stavamo facendo una write session con i Goodboys, Luca ha messo giù i primi accordi, Josh è partito subito con le parole, che più o meno sono le stesse che state ascoltando ora, e siamo arrivati di botto alla fine della strofa. Ci siamo stati dietro un attimo, ma ci siamo resi conto che mancava qualcosa, allora io faccio: “Perché non proviamo a fare un chop, anziché cuttato, cantato?” e quindi Josh è andato in cabina e ci fa: “Beh, può andare bene What? Sorry, just quickly. What if it’s?” e inizia a cantare. E basta, abbiamo premuto rec. Poi in fase di rifinitura, abbiamo capito che tutto andava già bene così. È un pezzo che è nato già giusto. Parlando magari con altri produttori che hanno fatto hit grosse, ma anche ascoltando un’intervista di Giorgio Moroder, in cui dice che quando le cose nascono già giuste e perfette, allora sono le cose migliori, abbiamo capito che quando stai dietro a un pezzo e senti che non gira, allora stai facendo qualcosa che non funziona.

Esatto, si percepisce subito quando un prodotto è meccanico

Lui dice proprio di skippare, quando si ha la sensazione che qualcosa non stia funzionando allora bisogna fare altro, che ne so, ad esempio andarsi a fare una partita di tennis,…

Anche perché il ruolo del produttore è proprio quello di creare, insomma, senza creatività non c’è neanche produttore… Se un produttore non riesce a creare, allora c’è proprio qualcosa che non va

La creatività credo che, bene o male, ce l’abbiano tutti. Secondo me, è questione di esperienza. Io e Luca facciamo dischi dal 2000, il primo disco che ho prodotto è uscito nel 2001, quindi in realtà c’è dietro tanta esperienza, tante notti in studio in cui non avevamo concluso nulla, ma avevamo perso dodici ore, ma sono proprio quelle dodici ore che perdi ogni notte che ti fanno capire che da una parte scremano chi lo vuole fare seriamente e chi lo vuole fare perché di moda. Quindi se vai avanti e comunque ti rendi conto delle cose che vuoi migliorare, alla fine qualcosa di buono lo combini, ci vuole però un sacco di autocritica, non bisogna pensare che dato che è un prodotto nostro, allora è bello, errore che fanno tanti, secondo me, ma bisogna pensare che il disco non deve piacere solo a noi e ai nostri amici, ma anche agli altri. C’è un momento in cui ti rendi conto che forse non è il caso di stare le ore davanti a una macchina, ma che magari è meglio ascoltare tanta musica e buttare giù l’idea quando ti viene.

Ma… se avessi detto al Simone del 2001 che avrebbe suonato a Wembley?

Da una parte non ci crediamo neanche adesso, anche il successo degli ultimi mesi è una cosa che non abbiamo ancora realizzato, ma dall’altra parte non posso dire che non me lo sarei mai immaginato… Hai presente quella sensazione di quando sai che quella è la tua strada e la devi intraprendere? Quindi sicuramente riguardo a Wembley, l’avrei presa come uno scherzo, però sia io che Luca e Mattia siamo sempre stati abbastanza convinti che qualcosa di buono l’avremmo fatto. Comunque, quando fai le cose fatte bene, quando ci credi, quando lavori bene, alla fine qualcosa succede.

E infatti è successo! Parlando di fatti o numeri, qual è l’evento che vi ha fatto capire che “Piece of Your Heart” stava diventando qualcosa di così grande?

Sono successe talmente tanti eventi così clamorosi in questi mesi che a momenti mi dimentico anche le varie cose successe…

Beh, immagino che in questi mesi non abbiate avuto nemmeno il tempo di pensare…

Esatto! Wembley, BBC1,…ce l’ho! Di sicuro uno dei momenti in cui ho realizzato ciò che stava succedendo è quando siamo entrati in globale, quando eravamo davanti a persone come Post Malone, Katy Perry, quando ho visto che non era solamente un fuoco di paglia… tanti brani entrano in globale, stanno lì un giorno e poi escono… noi siamo entrati in globale e lo siamo ancora. Oltre a questo, lo abbiamo capito quando magari ci ha taggato qualche VIP, qualche mega attore o calciatore che cantava la canzone…

Ma basta una canzone per salire sull’“Olimpo”?

Eh…a quanto pare sembrerebbe. Devi sempre però considerare che è una canzone che viene dopo diciotto anni di lavoro, nel senso che non è la prima canzone che facciamo. Dietro questo pezzo ci sono quindici anni di DJ resident, mille porte sbattute in faccia, persone che ci hanno presi in giro (ne abbiamo trovati tanti a livello discografico), sgambetti…noi però siamo andati avanti, per la musica. Non lo facciamo perché siamo masochisti, lo facciamo perché amiamo ciò che facciamo.

Dopo questa esplosione credo sia comunque stato difficile gestire un po’ tutto ciò che sta intorno a una hit, ossia date, festival…

È arrivato tutto insieme, abbiamo il calendario chiuso fino al 2021. Abbiamo date in locali incredibili, tipo il Fabric di Londra, eventi nazionali come quello che è stato all’Arena di Verona, Wembley, locali che mai avremmo immaginato e che, alla fine, ci hanno chiamato.

 Vi vogliono tutti!

Eh, è un momento in cui sì…tanti ci vogliono. Poi ovviamente abbiamo il nostro booking e non possiamo andare ovunque. Il nostro sound è tech-house, quindi andiamo in determinati locali. È un bel momento per noi.

A proposito di esibizioni, una delle mie preferite è quella agli Universal Music Studios di Londra, com’è successo?

È nata quasi come è nata la canzone, perché è stata concepita con noi alle tastiere e Josh che cantava, quindi è stato quasi un riproporre come la creazione del brano…noi siamo sì tre DJ, ma anche tre musicisti, quindi dietro alle tastiere ci troviamo quasi più a nostro agio che dietro ad una consolle.

C’è quindi in programma di portare questo tipo di set su palchi più grandi?

Assolutamente sì, quello sarà il secondo step di Meduza. Non vuol essere solamente un DJ set, ma qualcosa di più.

Credo sia veramente importante, perché è un po’ quell’esperienza da club che alla fine manca, è un’atmosfera diversa

Sì, esatto, è proprio quello. Nel futuro, non troppo lontano, c’è l’obiettivo di diventare, non dico una band elettronica, perché non lo siamo, ma qualcosa di più di un DJ set.

Al di là di questo pezzo, so che vi siete concentrati molto anche sui remix. So che può suonare banale, ma qual è la differenza fra i due?

Entrambi non sono facili, ma nel singolo hai più libertà…potremmo prendere come esempio il creare una persona: devi creare il cuore, lo scheletro e gli devi mettere poi anche i vestiti, mentre il remix ha già scheletro e cuore, devi solo cambiare i vestiti, cosa che comunque non è semplice, perché alcuni vestiti magari non stanno bene ad alcune persone. Quando fai un remix devi portare il tuo sound, essere riconoscibile, però sicuramente fare un singolo è più difficile che fare un remix. Sono due cose diverse e ci piace fare entrambe, quando facciamo un remix cerchiamo sempre di fare una versione da club, più adatta ai dancefloor.

A proposito di remix, tutti hanno provato a remixare “Piece of You Heart”, ma qual è il tuo preferito?

Quello di Joris Voorn, perché riesce a unire semplicità e armonie del piano, con qualcosa di più ibizenco e festaiolo. Ne ho sentiti tantissimi di molto belli, anche non ufficiali, però quello di Joris è, a mio gusto personale, il migliore.

Dopo tutto ciò che avete fatto, sentite la responsabilità di fare qualcosa di più grande?

Sicuramente non è semplice, ma secondo me l’approccio di mettersi lì a fare un pezzo sentendo la responsabilità di doverne fare uno ancora più forte, è un approccio sbagliato, che non fa altro che mettere ansia e non porta a nulla. Sicuramente noi andiamo avanti a fare musica come piace a noi, anche perché con “Piece of Your Heart” abbiamo fatto ciò che ci piaceva: se questa cosa ci ha premiato…sai come si dice, squadra che vince non si cambia. Teniamo sempre questi propositi: lavorare in armonia, tranquilli, senza troppe pressioni, anche se inevitabilmente quando entri in questi meccanismi le pressioni ci sono.

Immagino che abbiate ricevuto parecchie proposte di collaborazione in questi mesi…

Sì, tante, alcune sono andate in porto, altre per differenze stilistiche non sono riuscite, ma sicuramente ci ha fatto piacere ricevere proposte anche da personaggi veramente mastodontici, che non ti aspetti vengano a scriverti su Instagram…

Becky Hill è stata una di questi?

Con Becky siamo venuti in contatto grazie ad Universal, perché anche lei lavora con loro. Questo pezzo oltretutto l’abbiamo pensato prima di “Piece of Your Heart”, lei ci è piaciuta subito…

Beh, lei è un “pezzo grosso” del panorama dance

Sì, è bravissima, in studio è un mostro. È entrata in studio e in venti minuti abbiamo fatto tutto.

Praticamente sareste in grado di comporre un disco in una settimana!

Eh…mmm, 20 minuti per 10 tracce…in due ore facciamo un album (ride)

Siete il sogno di qualsiasi discografico!

Eh, quattro album al mese, mica male.

Fonte: Soundwall.it

Francesca Bortoluzzi

Classe 1994, nata a Belluno. Studentessa d'arte a Trento e grande appassionata di musica, soprattutto elettronica. Scrive da anni per vari media, nella perenne ricerca di nuovi stimoli e sensazioni.

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