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DESTINATARIO SCONOSCIUTO

Racconto epistolare che vede la luce per la prima volta nel 1938, quando viene pubblicato per un’importante rivista di New York: la “Story”. Fu considerato uno dei migliori racconti del periodo e anche il Reader’s Digest ne volle pubblicare un riassunto per i suoi lettori.

Nel 1939 nacque il libro vero e proprio e fu un grandissimo successo: ben cinquantamila copie vendute in pochissimo tempo; in seguito, come per tutto ciò che fa paura, ne venne vietata la circolazione nell’Europa continentale e fu ignorato per ben sessant’anni.

Recuperato nel 1995, appena due anni prima la morte dell’autrice: Katherine Kressmann Taylor, il libro venne tradotto in francese e divenne ben presto un best-seller.

Io l’ho acquistato per caso, come quasi sempre avvengono i miei acquisti letterari, colpita sia dalla quarta di copertina che dall’immagine della copertina stessa: un fascio di lettere legate da uno spago. Romantico.

Sembrava.

Un libro che si legge tutto di un fiato e che, senza fiato, lascia. Tolta la pagina con il titolo e la postfazione ci troviamo di fronte a 65 pagine di una forza inaudita che, per il periodo trattato: dal 1932 al 1934, anticipano la tragedia dell’Olocausto.

Martin e Max, rispettivamente tedesco ed ebreo, oltre ad essere due amici fraterni sono anche soci in affari: gestiscono una galleria d’arte a San Francisco, in California.

Quando Martin torna con la famiglia in Germania, lasciando Max ad occuparsi degli affari, tra di loro il rapporto di amicizia non si perde ma continua attraverso lo scambio di lettere.

All’inizio sono calde carezze, sentimenti scoperti sullo sfondo di una Germania in cui fervono i cambiamenti, che si tramutano in veri e propri pugni nello stomaco quando quei cambiamenti non sono altro che il nascere del Terzo Reich.

Con l’avvento di Hitler l’atteggiamento di Martin cambia, si trasforma, si modifica fino a diventare irriconoscibile e Max si vede rifiutato perché, purtroppo, ha la colpa che hanno tutti coloro che “non prendono posizione attiva nella vita sociale”: è ebreo.

Quello che non era mai stato un problema in quel momento diventa un muro, una barriera impossibile da oltrepassare.

L’amico rimasto in California non si capacita del cambiamento, crede ancora che Martin si comporti in quel modo così lontano da come lo ha conosciuto solo perché impaurito dalla censura a cui vengono sottoposte le lettere, e lo giustifica. Rimane fiducioso nonostante la preghiera che si sente rivolgere di non scrivere più.

Accetta a malincuore la decisione dell’amico fino a quando, spaventato della sorte a cui potrebbe andare incontro la sorella Griselle, incauta attrice a Berlino, chiede proprio a Martin di rintracciarla e darle una mano in caso di bisogno. Fa leva su di un antico sentimento nato tra i due, una relazione extraconiugale interrotta per volere dell’amico.

Il resto della trama non lo anticipo, state tranquilli, per due motivi: il primo è che a nessuno piace sapere il finale di una storia; il secondo è che il finale in questione è veramente a sorpresa e fa riflettere, come tutto il resto d’altronde.

Si legge in una mezz’ora ma rimane dentro per sempre. Un gioiello, a mio parere.

Lo hanno definito “cronaca di un cambiamento” e una curiosità rivela che l’idea della storia sia venuta all’autrice grazie ad un piccolo trafiletto letto su di un giornale: degli studenti americani in Germania rivelarono ai familiari la verità sulle atrocità commesse dai nazisti. Verità che, spesso, non fu accettata da gran parte degli americani. I familiari ritennero divertente spedire delle lettere che si prendessero gioco di Hitler, scatenando la paura e l’angoscia negli studenti che dalla Germania risposero: “Piantatela. Potreste uccidere qualcuno semplicemente scrivendogli”.

Un libro senza tempo, anche se fa riferimento ad un periodo che il tempo lo ha cambiato e stravolto.

Parla di amicizia, vera e presunta; di come il potere e l’autorità possano legittimare i comportamenti che, in altre occasioni, sarebbero messi al bando; di come la moralità sia legata, in specifici ambienti e situazioni, ai rapporti sociali; l’alternanza dei ruoli; la sottile ironia legata alla legge del contrappasso.

Che non giustifica, non libera, ma rende tutti uguali quando si agisce per il desiderio di pura vendetta.

 

 

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