Economia

RIDATECI LA GUERRA

ridateci la guerraLa fortissima affermazione che caratterizza il titolo di questa riflessione, in apparenza, è decisamente in contraddizione con la Storia,

con l’esperienza comune e se vogliamo anche con i principi elementari della logica; ma se la sottoponiamo ad un rigoroso esame critico, molto probabilmente si dimostrerà valida.

 

 

Stando alle statistiche mondiali sull’economia del pianeta, da quando nel 1989 il Comunismo come sistema politico-economico ha esalato l’ultimo respiro, le attese e le prospettive ottimistiche, sul fluire del nostro pianeta, hanno lasciato lo spazio all’emersione di fenomeni socio economici e politici che non possono non allarmare gli individui che con un po’ di perspicacia vedono esattamente come le cose stiano effettivamente.

L’espediente magico per rimbecillire la massa è stato il conio della parola globalizzazione, intendendo con essa di tutto e di più, compreso il suo simultaneo contrario; in altri termini, si è dato adito, sì, a fantasticherie sociali riconducibili al villaggio globale ma, nei fatti, si è prodotto l’incenerimento di alcuni capisaldi del convivere mondiale dei popoli e delle nazioni antecedenti la caduta del muro di Berlino.

Partiamo dalla politica, dai suoi protagonisti sia nazionali che internazionali; come facciamo a trascurare che gli attuali attori appaiono dei nani rispetto ai Mitterand ai Khol ai Craxi e che addirittura non temono nemmeno che vengono percepiti come soggetti che adottano decisioni su precise disposizioni di altri soggetti che rispetto alla politica dovrebbero avere, quantomeno un ruolo secondario. La pantomima sulla Grecia, è la plastica rappresentazione della pochezza intellettuale, nonché dello spessore quasi inesistente della persona  dei Sarkozy, delle Merkel, dei Cameron, degli Obama  i quali, su perentoria dettatura delle loro banche nazionali impongono condizionamenti politici asfissianti alla neonata e debole UE, che avrebbe invece bisogno di accelerate riforme e di tempestive decisioni politiche che la rendono un robusto protagonista del proscenio politico mondiale.
Cerchiamo di capire qualcosa dalle famose bolle finanziare tutte originatesi in territorio statunitense; dall’analisi di questi eventi emerge una sconsolante costatazione, ovvero, il controllo pressoché inesistente o irrimediabilmente tardivo sulle movimentazioni finanziarie scorrette che sarebbe più esatto dire con finalità truffaldine, le quali innescano meccanismi perversi che, in definitiva, penalizzano i piccoli risparmiatori o, fatta salva la rara eccezione della banca Lehman Brothers, non dichiarano mai il fallimento di grosse istituzioni finanziarie. Il sacrificio della  Lehman Brothers si qualifica più come il contentino concesso per preservare diritti o posizioni di pura speculazione finanziaria altrimenti insostenibili e difficilmente inconfessabili nei confronti del diffuso buon senso, piuttosto che come l’episodio che tradisce l’instaurazione di un rispettato ordine legale in campo economico finanziario.
Su scala planetaria siamo costretti a registrare fenomeni pressoché inspiegabili con le normali chiavi di lettura di politica economica, pertanto, assistiamo al crescente indebitamento degli stati, (tra i quali chi può stampa moneta), abbiamo assistito all’ammissione nell’organizzazione mondiale del commercio (WTO) della Cina, e dobbiamo trascurare se non obbligatoriamente distrarci per non prendere atto che  paesi come l’India e il Brasile hanno piaghe sociali che improbabilmente sarebbero tollerati nei paesi con democrazie consolidate ed evolute. Proviamo a riflettere sui numeri e sulle incognite, intese come conoscenze negate, prodotti dal vigente assetto politico economico, che è più corretto dire politico finanziario; ebbene, anche se sui mass-media mondiali di proprietà dei grandi potentati finanziari, adesso che non fanno comodo non appaiono più, nessuno può affermare che il degrado delle favelas brasiliane con l’annesso degradante fenomeno della tratta dei niños sia improvvisamente sparito. Così, come con netta decisione non si può affermare che l’India sia diventato un paese dove le terribili differenze sociali, risalenti alla mai superata suddivisione in caste della popolazione, possa essere annoverata fra le nazioni che dal punto di vista della piena applicazione del diritto positivo abbia le carte in regola. Infine, data l’impenetrabilità del sistema sociale cinese, occorre chiedersi come la Cina abbia potuto fare ingresso nell’organizzazione mondiale del commercio, quando assieme ai due grandi paesi poc’anzi menzionati  nulla si sa sulla qualità dei prodotti che esporta, niente è dato sapere se i luoghi di produzione sono salubri per i lavoratori che vi prestano la manodopera e, soprattutto se quest’ultimi svolgono il loro lavoro nel rispetto delle normative che contraddistinguono gli altri paesi che si vedono costretti a concorrere con un competitore a dir poco sleale.
Proprio questo esagerato e voluto strabismo che agevola i giochi finanziari dei grandi potentati ci induce a pensare che molti stati con le loro popolazioni, se per loro sfortuna non rientrano in certe logiche affaristiche, all’improvviso possono cadere in una miseria dilagante che nemmeno le guerre o una guerra virulenta è capace di determinare. Sotto questo profilo,  la Grecia docet.  Questa tristissima considerazione trova il suo suffragio su un altro aspetto della questione che è intrinseco al paradosso; storicamente il periodo che segue ai fatti bellici di solito sono caratterizzati da momenti economici finalizzati alla ricostruzione di ciò che la guerra ha distrutto e, in questa fase, i giochi finanziari fini a sé stessi sono banditi; se è questo il motivo per cui viviamo questa pace asfissiante con all’orizzonte l’incombente pericolo della fame e della miseria decisi da ignoti qualcuno, allora ridateci la guerra.

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(immagine tratta da www.nsd.it)

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