Economia

Dopo i 500 anni de “Il Principe” “Machiavelli, teorico delle crisi”

Il recente anniversario dei cinquecento anni de “Il Principe”, sprona noi tutti a una riflessione su quanto Nicolò Machiavelli scrisse e sull’attualità delle tematiche da lui affrontate. Intervisto per l’occasione, approfittando della pubblicazione del nuovo libro “Machiavelli, teorico delle crisi”, il professor Luciano Priori Friggi in qualità di esperto, nella speranza che egli possa darci delucidazioni sulla figura di Machiavelli e raccontarci qualcosa sulle peculiarità del suo ultimo libro.

Prof Priori FriggiIl Professor Priori Friggi è attualmente direttore della testata giornalistica “BorsaPlus”. Dopo la laurea in Scienze Politiche (indirizzo storico-economico, con una tesi sui “Cicli politici, economici e di borsa”), si e’ specializzato in economia (che ha anche insegnato a lungo in diverse istituzioni, in particolare in Master post-laurea). Ha scritto anche “Ricominciare da Bastiat” e “Briganti contro l’Italia”, entrambi per la casa editrice “Microinet”.

1) Che  cosa ha significato per lei Machiavelli?

Machiavelli mi è stato d’aiuto nel capire l’evoluzione delle strutture politiche italiane, in particolare nei momenti di crisi, e quindi i problemi e i difetti del sistema italiano, anche in confronto con gli altri stati Europei. Non si può infatti parlare dell’Italia guardando solo all’Italia. Dopo il Mille l’Italia era passata dai comuni alle signorie, arrivando a formare cinque grandi Stati, ostili uno all’altro. Per impedire che uno di essi prevalesse, ottenendo così un vantaggio assoluto, tutti gli altri gli si coalizzavano contro non appena c’erano segni di tentativi di rottura dello “status quo”. Questa era la situazione nella seconda metà del Quattrocento, quando Ludovico il Moro acquisì in modo poco limpido il principato di Milano, diventandone duca. Morto nel 1492 Lorenzo il Magnifico, passato alla storia come il garante de “l’equilibrio italiano”,  sentendo avvicinarsi la minaccia di un’espansione di Venezia verso la Lombardia, Ludovico chiamò Carlo VIII, re di Francia, per averne un aiuto, dandogli in cambio il via libera per l’occupazione del napoletano, occupato dagli spagnoli ma rivendicato per motivi dinastici (come la Lombardia, come poi si vedrà)  dai francesi. Per la prima volta, nelle nuove condizioni, da uno dei “cinque grandi” della penisola fu chiamato uno  stato estero per sostenere le proprie posizioni in Italia. E’ l’anno 1494, una data fondamentale. Lo è perché da allora si sono determinati una serie di eventi che hanno condizionato la nostra storia patria, storia di sottomissione allo straniero, fino alla soluzione unitaria ottocentesca, frutto del Risorgimento. Machiavelli ha potuto vivere di persona e da protagonista, come segretario della repubblica fiorentina, dalla fine del ‘400, questo fondamentale periodo storico.

Machiavelli è stato per me importante perché mi ha aiutato a capire il dramma e il perchè l’Italia abbia perso, in un momento storico decisivo per gli assetti europei, il treno per diventare uno stato nazionale, e come questo esito abbia poi influito sulla formazione di una coscienza nazionale e sull’economia italiana. Per la maggior parte degli studiosi stranieri Machiavelli è invece soprattutto l’autore del “Principe”, un manuale per conquistare il potere, per gestirlo e mantenerlo. Non è proprio così, o almeno non del tutto, anche perché “Il Principe” è solo una parte del grande lavoro di scrittura di cose politiche che Machiavelli ci ha lasciato.

2) Perché dopo Cinquecento anni del Principe se ne discute accanitamente ancora oggi?

Intanto perché Machiavelli è un grande scrittore e anche il “Principe”, frutto del lavoro di pochi mesi, è ben scritto. Non bisogna dimenticare che Machiavelli è anche l’autore de “La Mandragola”, la migliore commedia del ‘500.

Il Principe ha avuto una grande fortuna perché è un libro scandaloso, che anche principi e regnanti stranieri hanno letto avidamente. Ma c’è anche tra di essi chi si è schierato contro, come il giovane imperatore di Prussia, Federico il Grande, autore di un “Anti-Machiavelli” (su cui mise le mani anche Voltaire). Il “Principe” colpì la fantasia dei lettori perché affermava in modo impassibile verità crude, a differenza dell’uso prevalente, fino a quel momento, di scrivere di temi politici in modo “moralistico”. Tutti sapevano che la politica è sporca, a volte feroce, però poi si leggevano opere “buoniste”. C’è di più, Machiavelli alla fine del “Principe” fa un appello che a Italia unificata lo fece diventare un “patriota” della prima ora a un principe italiano affinchè diventi il “redentore” che tutti gli italiani aspettavano, e nel contempo condanna senza appello i principi italiani che pensavano di cavarsela a buon mercato di fronte ai potenti stati stranieri.

Solo un’Italia unita, dice Machiavelli, con un proprio esercito, può opporsi validamente alle scorrerie degli stranieri (che lui chiama, alla maniera degli antichi, “barbari”). Tutti i regnanti italiani rischiavano in effetti di esser spodestati da quella o quell’altra potenza europea. Machiavelli però si rende anche conto che uno stato unitario in Italia è complicato a costruirsi per via della presenza della Chiesa: ciò avveniva per due motivi distinti, primo con la sua esistenza lo Stato Pontificio contribuiva a far saltare ogni iniziativa nella direzione unitaria, secondo, con i comportamenti scandalosi della corte romana e del clero si impediva di fatto di trasmettere la “morale” al popolo. Quindi la conclusione che, a giocare a sfavore del raggiungimento dell’unità, era soprattutto la “corruzione”, male endemico dell’Italia. Niccolò Machiavelli ci dice che in un contesto di grande corruzione, l’individuo rifugge dal preoccuparsi del proprio paese, e dell’interesse generale, per concentrarsi sul proprio tornaconto, sul proprio “utile”, costantemente sotto minaccia. Per concludere su questo punto, l’attualità del “Principe” risulta insomma anche dalla constatazione che la corruzione è un problema ― anzi il problema ― che in Italia non è mai passato di moda.

3) Il libro parla di “crisi”, cosa vuol dire esattamente con riferimento a Machiavelli?

Nel “Principe” il concetto non è chiarissimo. L’opera è però una costola dei “Discorsi”. C’è chi pensa che Machiavelli abbia invece scritto prima il Principe e dopo qualche anno i Discorsi, è per es. il caso di Baron. Io non credo che sia andata così (non sono certo il solo). Machiavelli aveva in testa una teoria ben precisa che però non poteva esplicitare in toto a causa dell’inquisizione, già attiva (senza voler entrare troppo nei dettagli, si pensi ad es. alla condanna da parte del papa mediceo del pensiero di Lucrezio, un autore sul quale Machiavelli si era formato, ma che per evitare grane non citò mai). Nei “Discorsi” Machiavelli disseminò elementi di una teoria che non è di facile individuazione, perché non la mette in maniera lineare, come in un manuale universitario. Mi sono reso conto – in questo sono stato favorito dagli originari studi  di Scienze Politiche e dal successivo approfondimento dei cicli economici – che nei “Discorsi” il Segretario dissemina una “teoria del ciclo politico” non banale, nel senso che non è una semplice ripetizione di concetti già presenti negli scrittori classici, ma con una sua originalità. Machiavelli vede nelle crisi un momento in cui è possibile fondare nuovi ordinamenti politici, essendo le crisi la risultante di meccanismi generati dalla natura dell’uomo e dell’agire umano, a livello individuale e associato. Nel momento in cui un certo ordine si afferma – ad esempio una repubblica – con il tempo si creano le condizioni per l’affiorare di una crisi, anzi di più crisi, sempre più gravi. Si innesca alla fine un meccanismo circolare, ciclico, che noi abbiamo perso come immaginario, ma che ai greci era ben chiaro. A causa della religione cristiana noi abbiamo perso questa circolarità, in favore della linearità. Machiavelli rompe questa visione moderna per tornare agli antichi, da cui prende gli esempi storici ad illustrazione delle sue tesi, per poi porli a confronto con quelli dei suoi tempi. Sulla base delle analogie riscontrate, l’autore fiorentino affermerà, per usare una frase fatta, che “la storia è maestra di vita”, o che almeno così dovrebbe essere, anche per i governanti. Dagli esempi storici e da quelli dei suoi tempi egli trova – o almeno crede di aver trovato – le costanti per cavarne fuori un “sistema”. Io ho cercato di ricostruirlo, tenendo nel dovuto conto più opere di Machiavelli.

4) E allora ci parli più nel dettaglio del suo ultimo libro. Quali sono le peculiarità di esso?

Il libro è un insieme di contributi. Parte dalla soluzione della “crisi italiana”, ossia dall’unità d’Italia, per poi analizzare la “ricaduta” (nella crisi) e la “soluzione” successiva. Finita la seconda guerra mondiale, è prevalente la positività, la voglia di fare. E’ il caso dell’Italia, ad esempio. Ma poi elementi di “crisi” sono riaffiorati di nuovo, fino a sfociare nella drammatica situazione odierna.

Nel libro ci sono alcune particolarità, a cominciare dalla riscoperta di un grande intellettuale-patriota, M. Monnier, che scrisse un saggio su Machiavelli in francese, che io ho tradotto. Tale saggio dà al lettore un inquadramento generale su Machiavelli, che metto a confronto con quello, fondamentale, del De Sanctis.

Vi è poi il saggio della L. Fournier-Finocchiaro, alla quale ho chiesto di poter pubblicare un suo lavoro sui nostri esponenti del Risorgimento. Lei ha messo in evidenza il loro anticlericalismo di fondo.

Il terzo lavoro riguarda il fascismo. E’ G. Prosperi ad averlo scritto. Si concentra su Mussolini e sul suo saggio su Machiavelli.

Sull’immediatezza del secondo dopoguerra si concentra X. Tabet, che ha scritto un saggio in cui viene descritto il clima in cui si trovarono a vivere gli studiosi italiani,  indaffarati a rendere Machiavelli utilizzabile nella nuova situazione.

Vi è poi l’intervista al maggior esperto di Machiavelli del Novecento, Sergio Bertelli, che fu anche, lo dico “en passant”, mio professore ai tempi dell’università. Un personaggio, senza peli sulla lingua. Per lui Machiavelli si caratterizza per l’analisi spietata e fredda della situazione dei suoi tempi.

Il penultimo contributo è di F. Bergoglio, un saggio sui neocon[1] americani, tendenza politica che ha avuto grande rilevanza presso la destra americana al tempo di Bush figlio. Essa vede nella religione il cardine del mantenimento della coesione sociale e non apprezza molto Machiavelli, nonostante le apparenze, per via del “machiavellismo”. Bergoglio chiude il saggio con un primo bilancio anche della presidenza Obama.

B. Rangoni Machiavelli, ci ricorda infine che Machiavelli fu un fondamentale punto di riferimento per la costruzione delle istituzioni repubblicane in America. Questo filone di pensiero machiavelliano ha come riferimento i “Discorsi” più che il “Principe”.

Nell’introduzione, nella parte finale, ho messo in evidenza la mia particolare visione di Machiavelli.

5) Lei ha fatto cenno al “machiavellismo”. Che cos’è esattamente?

Non è semplice dare una definizione di machiavellismo. Vi si vede un accantonamento della morale e un utilizzo senza freni dei mezzi per raggiungere un fine. Il problema è insomma che in Machiavelli sembra che qualsiasi mezzo può andar bene pur di  raggiungere un fine. Se si accetta una premessa simile qualsiasi cosa può andar bene, va bene la simulazione, va bene il mancato rispetto dei patti, va bene l’immoralità, l’assenza di etica. Questo è il machiavellismo.

6) Machiavelli nel “Principe” parla di un principe ideale. Ci sono delle qualità, dei comportamenti, nel Principe machiavelliano, che possono oggi tornare utili?

Quello di Machiavelli non è tanto un Principe ideale, cioè da un punto di vista filosofico, ma la sintesi di principi in carne ed ossa. Gramsci cercò di correlare il concetto di Principe rinascimentale al partito. Egli diceva che il moderno Principe non poteva che essere il partito, il suo. Nel libro c’è un chiaro riferimento ad un esempio di principe moderno. Ma rimando al libro per non prendere altro spazio, che so tiranno.

Ringrazio il Professor Luciano Priori Friggi per la splendida intervista e per avermi dato l’opportunità di imparare molte cose di un personaggio che è non solo parte della migliore storia italiana, ma del pensiero umano “tout court”. 


[1]             Il neoconservatorismo è un movimento politico internazionale di origine statunitense, di orientamento liberal-conservatore, interventista, occidentalista e americanista i cui aderenti sono detti “nuovi conservatori”. Riguardo alle tematiche sociali, i neoconservatori (detti anche neocon, sia dagli sostenitori che dai critici) non si oppongono più di tanto ai principi del “big government” degli Stati Uniti e propongono solo limitate restrizioni alla spesa sociale. Dal punto di vista strettamente americano, in politica estera il movimento, contrario all’isolazionismo, sostiene l’utilizzo della forza militare, se necessario in maniera unilaterale, per sostituire regimi dittatoriali avversi con democrazie amiche.

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Check Also
Chiudi
Pulsante per tornare all'inizio