Politica

L’ITALIA DEVE ESSERE ANCORA UN PAESE PER GIOVANI

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, così recita il primo articolo della nostra Costituzione. È  proprio da lì, dall’applicazione dei suoi principi, che dobbiamo ripartire. Quando la Costituzione è entrata in vigore, il 1° gennaio 1948, l’Italia era un Paese poverissimo e lacerato dalla guerra appena conclusasi. Eppure gli italiani si sono dati da fare per ricostruire il proprio Paese, per garantirgli un futuro.

Ma oggi, credere ancora in un futuro nel proprio Paese, è davvero possibile per un giovane italiano?

La nostra è una storia di tanti, tantissimi uomini e donne che, con le loro idee e con il loro coraggio, si sono battuti per il “Bel Paese”, per cambiare le cose quando non andavano. 

Parlando di giovani, poco più di quarant’anni fa la contestazione studentesca arrivava in Italia dopo aver infiammato molte importanti piazze e università europee, inserendosi in un contesto ben preciso. Fenomeno complesso quello del “Sessantotto”, risultante dalla sommatoria di realtà territoriali diverse, che hanno delineato un movimento senz’altro meno ideologizzato di quanto le vicende successive abbiano fatto immaginare.

È il 27 aprile del 1966 quando all’Università la Sapienza di Roma, nel corso delle elezioni per il rinnovo degli organi rappresentativi degli Studenti,  si è sparsa la voce  che  sono in corso  brogli elettorali.  Molti giovani si accalcano sulla scalinata della facoltà di Lettere, dove si forma un nugolo di studenti per contestare la validità del voto: scoppia una rissa, provocata da giovani di estrema destra, uno studente rimane ucciso.

 Questo può essere considerato l’“evento” che ha dato inizio alla stagione di rivolte studentesche in Italia; una stagione fatta di occupazioni a più riprese delle università, scontri, adunate di massa, musica, grida, cortei, botte, manifesti e volantini. Una generazione combattiva insomma: i giovani del Sessantotto, soggetti e non oggetti di un sistema universitario, di un sistema di governo che reputavamo sbagliato.

E poi il 1° marzo del 1968, la “battaglia di Valle Giulia”, quando studenti di destra e di sinistra, per la prima volta uniti in un’insolita saldatura di opposti, si scontrano con la polizia mostrando un rifiuto dissacrante delle autorità.

C’è poi un’altra generazione, quella dei giovani di oggi. È la generazione dei call center, dei contratti a tempo determinato, delle lauree a tempo perso, dei curricula inviati un po’ dappertutto, dei centodieci e lode che troppo spesso non valgono molto di più che una gratificazione personale.  

Dove sono oggi quegli sguardi incerti, dubbiosi, quegli sguardi che si chiedono: “cosa faremo domani?”, “il nostro impegno dove ci porterà?”. Troppo spesso non ci sono. La parola chiave è “oggi”, meglio non pensare a cosa accadrà domani, si rischia di deprimersi e basta. Sì, perché il panorama oggi è abbastanza desolante; quella che sta attraversando l’Italia non è certo una crisi passeggera.

Spesso i giovani di oggi abbandonano la propria casa, preferendo cercare all’estero di costruirsi un  futuro. Per combattere oggi no, oggi non c’è proprio tempo.

“Questo lavoro dove mi porterà?”, “E domani dove sarò?”. Ma oggi non c’è tempo per pensare, c’è l’affitto da pagare, ci sono le tasse universitarie, ci sono le bollette che arrivano puntuali ogni mese. Oggi non c’è tempo per combattere per il domani, perché si deve combattere per l’oggi. 

Cosa è rimasto oggi di quell’attivismo, di quella voglia di cambiare il mondo? Ecco il vero dramma dell’Italia di oggi: hanno tolto ai giovani la possibilità di guardare al futuro. 

Ma è davvero così? Davvero tutti i giovani accettano passivamente questa situazione di sicura difficoltà?

Forse non sempre è così come sembra, perché oggi ci sono ancora tanti giovani che vogliono combattere, che non si accontentano, che ce la mettono tutta per farsi strada in un mondo dove sembra sempre più difficile emergere, anche se si è bravi. Sono giovani che non si arrendono, giovani che non ci stanno, giovani che studiano e che si impegnano. E se il periodo è difficile? Bè, è una spinta  per impegnarsi ancora di più. In un mondo dove, rispetto a un passato neanche troppo remoto, è così difficile emergere, bisogna essere ancora più preparati di prima. E molti giovani lo sono.

Sono le donne e gli uomini di domani, è grazie a loro se un futuro migliore sarà possibile, è  per loro che non bisogna mai smettere di sperare.

Claudia Marcelli

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