IL RITORNO DEL PROTEZIONISMO: STORIA, CRISI E SCENARI GLOBALI

Negli ultimi mesi, i dazi sono tornati a scuotere il commercio globale. Gli Stati Uniti hanno minacciato tariffe fino al 30% sui prodotti europei, generando incertezza nei mercati, colpendo settori chiave e mettendo alla prova alleanze storiche.
Ma qual è stato il ruolo dei dazi nella storia? E perché oggi tornano al centro della scena geopolitica?
Agli inizi del Novecento, molti Stati ridussero i dazi doganali, spinti dalla crescita economica e dall’evoluzione dei sistemi fiscali. Tuttavia, la crisi del 1929 cambiò drasticamente le carte in tavola.
Negli Stati Uniti, il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Act (1930), aumentando i dazi su oltre 20.000 prodotti del 20%, nel tentativo di proteggere l’economia nazionale. Il risultato fu disastroso: altri Paesi reagirono con misure simili, e in soli cinque anni il commercio mondiale crollò del 60%. Le esportazioni statunitensi si dimezzarono, la disoccupazione salì al 25%. Quella che doveva essere una difesa divenne una trappola economica.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la lezione fu chiara: serviva cooperazione, non isolamento. Così nel 1947 nacque il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), evoluto poi nel 1995 nel WTO (World Trade Organization), con l’obiettivo di regolare e liberalizzare il commercio mondiale.
In Europa, l’integrazione fu ancora più profonda: con la nascita dell’Unione Europea, i dazi interni furono aboliti e venne istituito il mercato unico. Dal 1993, merci, servizi, persone e capitali circolano liberamente tra gli Stati membri.
Ma il protezionismo non è mai davvero scomparso. Dopo la crisi del 2008 e, più tardi, con l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno reintrodotto pesanti tariffe, colpendo soprattutto Cina ed Europa.
Nel marzo 2025, è arrivata una nuova ondata: il governo americano ha imposto una tassa del 25% sulle auto europee e del 20% su altri beni. L’Unione Europea ha risposto con contromisure da 26 miliardi di euro, colpendo settori simbolici come birra, moto, legname e altri prodotti di punta. Una nuova guerra commerciale è cominciata, con effetti concreti: prezzi più alti, incertezza economica e tensioni diplomatiche.
Secondo Mario Draghi, servono politiche industriali europee coordinate, un debito comune per sostenere i settori strategici e regole condivise per evitare risposte disorganiche. Emmanuel Macron ha definito le tariffe USA “brutali e infondate” e ha proposto un Buy European Act. Olaf Scholz ha invocato un’Europa forte, ma aperta al dialogo. La Commissione Europea, con Ursula von der Leyen, ha minacciato di attivare l’Anti-Coercion Instrument, che potrebbe escludere le aziende americane dagli appalti pubblici europei.
Un’indagine della BCE (aprile 2025) ha rivelato che il 44% dei consumatori europei sarebbe disposto a boicottare prodotti statunitensi, anche a parità di prezzo. Un gesto più simbolico che economico, ma che segnala un possibile cambiamento duraturo nelle scelte d’acquisto.
I dazi vengono spesso percepiti come strumenti tecnici, ma le loro conseguenze sono molto reali: prezzi più alti, aziende in difficoltà, lavoratori disoccupati, famiglie costrette a rinunce.
La storia ci mostra che il commercio può unire o dividere.
Proteggere le economie locali è legittimo, ma serve attenzione: il protezionismo, se spinto troppo oltre, rischia di isolare più che difendere.
In un mondo così interconnesso, la vera forza sta nel trovare un equilibrio tra apertura e tutela.





