Cultura

L’ALCHIMIA DI GENNARO

L’alchimia e più precisamente la scuola alchemica medievale di Neapolis regalerà ai napoletani non una leggenda di un fenomeno ma un fenomeno da leggenda.

Va subito evidenziato che sull’avvenimento della liquefazione dei “sacri grumi” contenuti nelle antiche ampolline, il Vaticano ha tenuto sempre un atteggiamento molto prudente e le fonti ecclesiastiche lo hanno sempre definito con il termine laico di prodigio.

Non hanno mai parlato ufficialmente di miracolo.

Nel maggio del 1965, con S. Nicola di Bari, S. Luigi dei Francesi, S. Giorgio e S. Filomena, le Autorità Cattoliche concedono ai predetti santi soltanto un culto locale e facoltativo. Lo scadimento di S. Gennaro a santo di “devozione locale”, come dire “a responsabilità limitata”, fece apparire su di un muro cittadino, l’ineffabile scritta: ”San Gennà futtatenne”; che, esprimeva la capacità tutta napoletana di rappresentare la realtà con immagini o scritte evidenti.

La circostanza per la quale sul fenomeno va acceso un certo interesse risiede sul fatto che i ricercatori dell’università di Padova hanno riproposto “scientificamente” il fenomeno usando – per loro stessa ammissione – antiche sostanze note già agli alchimisti medievali come il carbonato di calcio, il cloruro di ferro in soluzione, l’acqua distillata e persino un pizzico di sale, ottenendo grumi gelatinosi, “reversibili” dopo un necessario scuotimento del contenitore. Il principe di Sansevero, “chimico” e letterato del Settecento, era uso riprodurre il “miracolo” nel suo laboratorio del bel palazzo avito di piazza S. Domenico Maggiore, per stupire gli amici e le belle dame che gli facevano visita.

Se ai ricercatori dell’università di Padova può essere imputato un demerito, esso è solo quello di aver volgarizzato, l’origine alchemica del fenomeno; omaggiando però, di fatto, quella Scuola Alchemica Napoletana che si specializzò, fra l’altro, nell’apertura della materia – ovvero un’operazione che riguardava la possibilità di manipolazione degli elementi naturali per ottenere situazioni del tutto diverse: ferro “plastico” a freddo o indurimento “marmoreo” di sostanze molli come interiora umane, in qualche caso reversibili. La notorietà e la diatriba sul sangue del patrono ha oscurato per secoli le molteplici testimonianze del fenomeno che si ripete in molte chiese napoletane e – in rigoroso segreto – nelle cappelle gentilizie di alcuni palazzi di famiglie di antica “fede”.

Sono censite almeno otto “liquefazioni” note agli studiosi: una è quella che si verifica nell’antico monastero angioino delle Clarisse, il famoso o’ Munasterio ‘e Santa Chiara in piazza del Gesù, dove si scioglierebbe, il 3 agosto e il 25 dicembre, il sangue del protomartire *S. Stefano. Il miracolo, da qualche tempo, non si ripete con rigorosa cadenza annuale, con malcelato sollievo delle clarisse, perché una documentata tradizione vuole che lo scioglimento del sangue annunci la morte della Superiora in carica.

Nella chiesa di S. Maria della Redenzione dei Cattivi (nel senso latino di captivi ossia prigionieri dei pirati saraceni) a Port’Alba; il 2 agosto si scioglie il sangue di *S. Alfonso Maria de’ Liguori: l’autore della cantata pastorale Quanno nascette ninno più celebre come Tu scendi dalle stelle; in quella chiesa si raccoglieva il danaro necessario al riscatto o redenzione delle vittime delle scorrerie saracene. Nella chiesa di S. Gregorio Armeno, sorta sulle rovine del tempio di Cerere e dell’annesso collegio delle Sacerdotesse, si liquefano i resti ematici di **S. Giovanni, *di S. Lorenzo e di *S. Patrizia (una monaca bizantina di stirpe imperiale approdata con le consorelle sull’isolotto di Megaride e trasferitasi poi nell’antico collegio delle Sacerdotesse), nota per il liquido misterioso: la manna che da secoli stilla dalla sua tomba.

Nella chiesa di Gesù Vecchio il 21 giugno il fenomeno avviene per il sangue di *S. Luigi Gonzaga e di *S. Pantaleone. Il sangue del Battista si sciolse la prima volta nel 1554 durante la celebrazione della messa nel convento di S. Arcangelo a Baiano dove era custodito dal 1200; proveniente dalla Francia era conservato in due ampolle che, alla soppressione del convento, furono affidate rispettivamente alle monache di S. Gregorio Armeno e a quelle di Donnaromita(1).

Mentre il sangue contenuto nella prima ampolla si scioglie regolarmente, quello di Donnaromita smise di liquefarsi nel Seicento. Quando anche il monastero di Donnaromita venne soppresso l’ampolla fu riunita a quella di di S. Gregorio, ma anche nella nuova sede il fenomeno non si ripete mentre, in occasione della festa del santo, si presenta come un semplice arrossamento dei grumi. La diversa reazione dei grumi delle due ampolle si spiega col fatto che una volta suggelata la materia “trattata”, il contenitore non deve mai essere aperto perché l’impatto violento con l’atmosfera non “purificata” falsa il fenomeno.

Soffermiamoci sulla liquefazione per eccellenza: quella del sangue del santo patrono contenuto nelle ampolline conservate nella cattedrale in un apposito vano nella parte posteriore dell’altare della cappella del Tesoro, accortamente diviso in due parti da un marmo per evitare “simpatie” impreviste. Da una parte la teca con il sangue e dall’altra l’imbusto (scultura reliquario che contiene le ossa)di S. Gennaro.

E’ noto che la liquefazione avviene in modo ottimale soltanto se la teca barocca con le ampolline viene posta “in vista” dell’imbusto. Occorre precisare che i più antichi testi alchemici parlano di un accorgimento necessario che prescrive l’accostamento di due “preparazioni” per operare la voluta “apertura” della materia; va altresì annotato, che a questo sommario accenno alla verità “esoterica” delle liquefazioni napoletane, deve aggiungersi la scansione del tempo alchemico e la non trascurabile importanza dei “suoni” ritmati per “provocare” particolari “onde sonore”.

Queste vibrazioni sonore sono necessarie per “risvegliare” la materia predisposta alla sua “apertura”. Addette alla creazione dei “suoni” opportuni erano le “parenti di S. Gennaro” che, in presenza delle reliquie, per ore scandivano le “cantilene” per “risvegliare” il fenomeno, abbandonandosi a confidenziali “imprecazioni” che erano concesse a loro da un antico diritto “esoterico”.

Cosa sia capace di provocare il suono o i suoni o la musica-magia con la loro forza d’impatto è cosa nota, perlomeno ai melomani che hanno assistito all’esplosione di bicchieri nelle mani di un tenore, oppure il risveglio, da profondi stati di coma, operato dalla musica laddove la medicina “profana” si era dovuta arrendere alle misteriose reazioni del cervello umano in gran parte oggetto ancora sconosciuto alla scienza ufficiale; anche se, è altrettanto nota l’ipotesi-teoria che gli antichi Egizi “tagliassero” le pietre con particolari vibrazioni sonore.

(…continua)

 

 

(1)Alcune monache provenienti da Costantinopoli e dalla Romania e sfuggite alla furia degli iconoclasti fondarono un monastero accanto alla chiesa di Sant’Andrea a Nilo che fu detto di Santa Maria de Percejo o Petrejo oppure anche Santa Maria di Costantinopoli o Cella Nova. Il popolo napoletano lo chiamava monastero delle donne di Romania oppure delle Romite di Costantinopoli e, per contrazione, di Donnaromita. Secondo lo storico Bartolomeo Capasso, la denominazione deriverebbe dal nome della famiglia che fondò il monastero prima dell’anno 1025 e che si chiamava Domina Aromata.

 

IL POPOLO DI NAPOLI

 VIRGILIO MAGO. L’ESOTERISMO DI NAPOLI

IL PRINCIPE DI SAN SEVERO

 

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