Politica

LA JIHAD DIETRO BENGASI

Attacco a Bengasi Il mondo oggi non parla d’altro. Sono quattro le vittime dell’attentato subito dall’ambasciatore americano Christopher Stevens a Bengasi, nell’est della Libia.

Nelle prime ore si sono rincorse numerose ipotesi sulla dinamica dei fatti. Inizialmente il fatto era stato collegato alle manifestazioni in corso in Egitto e in Libia contro un film indipendente, il quale avrebbe offeso la sensibilità del mondo islamico.

Ma facciamo un po’ d’ordine.

La piccola struttura che ospita il consolato statunitense è stata attaccata da almeno un razzo RPG 7.

Le fiamme all’interno dell’edificio si sono propagate velocemente, causando la morte dei quattro cittadini americani per asfissia. Si era anche parlato della possibilità che l’ambasciatore fosse stato colpito da un razzo mentre si spostava con la sua auto dal consolato. Le drammatiche immagini del corpo di Stevens però non lasciano dubbi. Il corpo è integro, e il volto dell’ambasciatore americano presenta i classici segni di asfissia con il colore della pelle che ha assunto il tipico colore rosso ciliegia. Le prime notizie che circolavano parlavano di un fatto eccezionale accaduto nel contesto di una manifestazione relativamente pacifica. Questa ipotesi non può reggere.

Nei frame del filmato si vedono chiaramente gli uomini armati di razzi RPG 7
Nei frame del filmato si vedono chiaramente gli uomini armati di razzi RPG 7
Poche ore dopo l’attentato, hanno iniziato a girare su internet diversi video. In particolare un video mostra uomini armati di razzi RPG 7 che si aggirano intorno il consolato.

Sono una ventina, ben equipaggiati, organizzati e sembrano sapere esattamente quello che fare.

I lanciarazzi RPG 7, d’altronde, non sono il tipo di arma che il violento di turno tiene in casa e porta ad una manifestazione pacifica.

Col passare delle ore quindi ha iniziato a perdere di credibilità l’ipotesi del corteo finito male.

La stampa internazionale allora ha cominciato a raccogliere diverse informazioni provenienti sia dalla Libia che da Washington, tirando in ballo la matrice Jihadista.

Dietro a quello che è successo a Bengasi sembrerebbe esserci Ansari al Sharia, gruppo terroristico fondamentalista legato ad Al-Qaeda, ipotizzando la ritorsione per l’uccisione di Abu Yahya al-Libi.

Qualche ora prima Ayman al-Zawahiri aveva confermato la morte dell’esponente libico di Al-Qaeda, colpito da un drone a Giugno.

Ma ci sarebbe da dire dell’altro. Il 10 Settembre è stata diffusa la notizia dell’uccisione in Yemen di Said al-Shehri, numero due di AQAP (Al-Qaeda in the Arabian Peninsula), dal Ministero della Difesa di Sana’a.

Immagini prese da un video in rete
Immagini prese da un video in rete
Nonostante sia stato detto molto poco sulla vicenda, in Yemen si dice che probabilmente Al-Shehri sia stato colpito da un drone USA durante un’azione coordinata con le forze Yemenite.

È stato appurato con certezza che Ansar Al-Sharia sia direttamente collegata con AQAP e che le azioni compiute dai due gruppi siano parte dello stesso progetto.

L’attentato contro il consolato a Bengasi è stato preparato, finanziato, e organizzato da un’organizzazione terroristica Jihadista. La storia delle manifestazioni contro il film su Maometto non solo è una falsa pista, ma spinge per non fare venire a galla una questione che troppo spesso viene trascurata: le azioni USA compiute da droni.

Il futuro delle relazioni internazionali è messo a dura prova dalla vicenda.

Il già precario equilibrio presente in Libia sta cedendo; è di qualche ora fa la notizia dello spostamento di due navi da guerra USA verso le coste libiche equipaggiate con missili Tomahawk. In questo momento storico e politico, un’altra crisi in Libia assumerebbe un’importanza particolare.

Avrebbe senza dubbio forti ripercussioni sulle elezioni presidenziali USA.

Mentre i due candidati si sfidano sulle TV statunitensi, nell’ombra si combatte per ottenere finanziamenti a suon di milioni da banche, studi legali, assicurazioni, aziende dell’Hi-Tech e industrie del settore della difesa.

Chi guadagnerebbe di più da unanuova crisi? Ma soprattutto, possono gli Stati uniti affrontarne un’altra?

 

 

© Riproduzione Riservata

Claudio D'Angelo

Analista per l'istituto di ricerca sui rischi geopolitici Triage Duepuntozero

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