Sociologia

RITROVARSI PERDENDOSI

“C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso…

… Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un’esistenza non convenzionale….”

Christopher Mccandless (Emile Hirsch) in Into the Wild – Nelle terre selvagge.

Quali sono i nostri sogni? Non sto riferendomi a quelli realizzabili, per il quale ci battiamo ogni giorno nel tentativo di raggiungerli. Con gli anni, ogni individuo rivede i propri sogni e li muta in base alle esigenze ad alle esperienze fatte. In quanti di noi ancora sognano di fare i calciatori o le ballerine? Abbiamo deciso di cambiare sogni perché non li volevamo più o perché non era facile realizzarli?

La metamorfosi dei sogni miete le proprie vittime ogni giorno. Gran parte dei ragazzi è costretta a rivedere degli obiettivi precedentemente posti. La fine della rincorsa a un sogno può avvenire per la scoperta di mancate capacità nel raggiungimento di esso oppure per l’incapacità dei mezzi istituzionalizzati (lo stato) atti a farci raggiungere l’obiettivo prefissato?

Avere un ruolo dirigenziale all’interno di un’azienda è davvero il nostro sogno? Oppure è un buon connubio tra aspettative, danaro, potere, responsabilità e socialità? 

Ho il piacere di intervistare una mia amica, Lia Muscogiuri, una donna che se non sta inseguendo un sogno, sta facendo sognare chi la segue e solo per questo merita tutto il rispetto possibile.

Lia, nata a San Pancrazio Salentino (BR) indicativamente un quarto di secolo fa (l’età di una signora non si svela mai) ha studiato al Liceo Scientifico di Mesagne (BR) e si è in seguito specializzata nella programmazione studiando per tre anni a Roma. In controtendenza con la disoccupazione che flagella i giovani italiani era riuscita a trovare un buon posto di lavoro a Milano, era una free lance stabile con una buona paga. Non contenta della vita che stava conducendo ha mollato tutto ed è andata in giro per vari luoghi nel mondo. 

F.C. Ciao Lia, la domanda ce la siamo posta un po’ tutti e sicuramente tu avrai risposto innumerevoli volte ad essa ma… perché hai smesso di lavorare? Il distacco dal tuo lavoro è stato graduale o repentino?

Lavoravo come programmatrice per una multinazionale e riuscivo a partire spesso. Quando sei in viaggio le giornate sembrano dilatarsi perché riesci a gestire il tempo senza sprecarlo, sei presente ogni minuto. Quando tornavo a sedermi davanti al computer, diventava difficile: troppe ore occupavano la parte viva della giornata – quando fuori c’è il sole – e uscivo quando ormai era sera. Mi sentivo un fiume in piena costretto negli argini. Adattato in scala alla vita, significa lavorare quando si è giovani e ritirarsi ad avere tempo libero quando ormai non si hanno più le stesse forze e possibilità.
Questo mi ha messo in crisi: mi sembrava di capire davvero quella frase da Baci Perugina “si vive una volta sola”. E non per sempre.

F.C. Prima di partire per i Caraibi, hai fatto qualche altro piccolo viaggio in Italia o all’estero? C’è stato per caso un momento in cui hai capito che viaggiare è ciò che più ti piace fare nella vita?

Questo “neverending tour” è stato un po’ la conseguenza ovvia dove il motore che mi anima mi stava indirizzando. Il mio lavoro mi concedeva più ferie della media, che utilizzavo esclusivamente per viaggiare. Viaggi che dovevano durare almeno 7 giorni, perché è sempre dopo il 5° che inizio a essere coinvolta, concentrata, libera dagli impedimenti mentali che mi legavano alla vita metropolitana. Portogallo, Turchia, Romania, Repubblica Ceca…
E poi il trasferimento a Milano ha agevolato gli spostamenti rispetto a Roma, permettendomi così di partire ogni weekend (giorno più ma mai giorno meno!), quasi sempre alla scoperta dell’Italia e le sue sorprese.

F.C. Che cosa hai fatto quest’anno? Qual è l’itinerario che hai seguito?

La prima tappa è stata Las Palmas di Gran Canaria, dove ci sono arrivata in aereo. Quando ancora non sei partito, ti sembra molto vicina l’idea che tu possa arrenderti e tornare indietro. Non volevo che questo accadesse, così ho preferito allontanarmi dal continente.
A Las Palmas ho trovato un passaggio su una barca a vela con la quale ho attraversato l’Oceano Atlantico arrivando per la prima volta nella mia vita dall’altra parte del mondo – le Barbados – dopo 23 giorni di navigazione. Da qui, siamo arrivati fino a Santa Lucia e Martinica, dove ognuno di noi ha continuato per la sua strada. Lì ho trovato una barca italiana e con loro ho solcato il Mare dei Caraibi ancorando nelle baie di quasi tutte le isole dell’Arcipelago, dalla Dominica a St Kitts e Nevis, Sint Eustatius e Saba fino alle Isole Vergini Britanniche e ritorno.
Risalita a bordo della prima barca, ho navigato fino a Cuba: il grande sogno si avverava. E questa stavolta, a occhi aperti! Da qui, ritorno ai Caraibi con base a Guadalupa che mi ha permesso di vedere anche Antigua, Barbuda e St Martin.

F.C. Soldi e tecnologia. Con quanto denaro hai iniziato a viaggiare? Eri forte di un patrimonio cospicuo alle tue spalle? Oppure hai iniziato con pochi spicci e ti sei arrangiata durante il viaggio? Quanto è importante la tecnologia per una viaggiatrice?

Non viaggio mai con molti soldi perché questo mi obbliga a non chiudermi in un ristorante da sola mentre chatto su Whatsapp con gli amici a casa ma mi costringe invece a stare per le strade a parlare con le persone del luogo e scoprire cosa c’è dove i turisti non vanno.
Per questo viaggio sono partita con poco meno di 1000 € per affrontare un anno. Molto pochi, ma si impara presto. Così sono dovuta scendere dalla mia scrivania di programmatrice nerd e ho dovuto rimboccarmi le maniche e imparare a fare altro.
La tecnologia al giorno d’oggi non è fondamentale ma aiuta perché facilita i contatti con le persone del posto grazie a siti come Couchsurfing, che permette di dormire gratuitamente in tutto il mondo.

F.C. Bene Lia, scadendo volontariamente nel banale. Qual è l’esperienza più particolare che ti è capitata? Potresti narrarcela?

Il sogno di “è Cuba”. Giochi di parole a parte, questa meraviglia del mondo mi ha stupito ogni giorno per tutti i 40 giorni che ho passato a respirarne il profumo. Profumo di sigaro e rhum, di povertà e sorrisi, semplicità e speranze. Cuba non è quella che ci hanno raccontato, quella che è sotto regime e non sa la verità mentre noi sì. Sotto regime ci siamo noi, e lo capisci quando arrivi lì e ti aspetti guardie con il fucile in mano mentre quelli ti seccano con “todo se puede en Cuba”. E quando gli dico che a Roma è vietato mangiare per strada e in alcune città sedersi sui gradini dei monumenti, ridono. E io che mi sentivo tanto libera e figa inizio ad aprire gli occhi e far funzionare il cervello.

F.C. L’antropologo Franco La Cecla, sostiene che talvolta per “ritrovarsi” è essenziale “perdersi”. Cosa ne pensi di questa frase? Può essere opportuno allontanarsi dalle nostre certezze ogni tanto ed imbattersi nel rischio? Secondo te perché ciò che hai fatto appare al resto della gente così stupefacente?

Più che stupefacente credo che, visto da fuori, si abbia l’impressione di qualcosa di difficile, impossibile da realizzare. Anch’io quando leggo i racconti di altri viaggiatori mi domando come ci riescano. Visto dall’esterno, tutto sembra complicato. Quando ci sei dentro, invece, è la cosa più ovvia che tu possa fare: semplicemente seguo la mia natura e so che in qualche modo farò.
In fondo, oggi è il domani di cui mi preoccupavo ieri.
Se non si rischia nulla, non si ottiene nessun cambiamento e si muore lentamente.
Perdermi è una delle cose che un tempo mi terrorizzavano (mai senza navigatore!). Ora lo faccio volutamente, scollando gli occhi dallo schermo e scoprendo che se alzo il naso è tutto più emozionante che su Google Earth. E mi accorgo di cose che avevo sempre sotto gli occhi ma che prima non vedevo.

F.C. Sempre La Cecla tende a farci notare quanto “perdersi” sia il corto circuito di un processo culturale, lo svanire di un’attenzione al mondo circostante. Dicci un po’ Lia.. dove hai intenzione di perderti in futuro? Hai qualche progetto in cantiere?

Avevo intenzione di terminare il mio viaggio di un anno arrivando alla fine del mondo, la Patagonia. Dopo un anno, credo di essere ancora molto lontana dal raggiungerla, perché  tante nuove mete e progetti stanno aprendo porte sul mio cammino. E la curiosità mi porta ad entrare nel massimo numero possibile, rischiando – come dicevamo prima – anche di aprire parentesi su parentesi che non si chiudono mai. Una canzone dei “Mercanti di liquore” dice: “se impari la strada a memoria non scoprirai certo granchè, se invece smarrisci la rotta il mondo è lì, tutto per te”. Così ho la sensazione che la fine del mondo stia diventando un significato metaforico di qualcosa di più grande. Come dire che non è un viaggio ma una vita. E magari ha il profilo della mia Itaca, che raggiungerò alla fine. 

Lia, non posso fare altro che ringraziarti. E’ un piacere aver condiviso i miei anni al liceo con te. Spero la nostra collaborazione possa continuare anche in futuro a beneficio dei nostri lettori. 

Buon viaggio (intellettuale) a tutti.

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