Cara Costituzione
Cara Costituzione,
certamente i settanta anni trascorsi dal giorno della tua nascita non possono costituire un evento marginale; ma, dopo settanta anni di applicazione, con tutto lo sforzo intellettuale possibile, non riesco a trovare quegli elementi oggettivi che – in considerazione dei parametri che qualificano positivamente uno Stato o una Nazione e alla luce dell’odierna situazione politico sociale dell’Italia – potessero giustificare le celebrazioni un po’ troppo esaltanti e molto retoriche.
Non si discute la bellezza degli enunciati giuridici della prima parte, ma esaminando quanto offre l’attuale panorama politico-sociale occorre constatare che la distanza fra quanto enunciato come principi e quanto praticato applicando i medesimi, è sconsolatamente abissale. In proposito, ritengo che sia molto utile riproporre qualche pensiero di uno dei tuoi padri costituenti Piero Calamandrei, il quale in un discorso pronunciato nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria il 26 gennaio 1955 in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita associativa, disse: – l’ art.34 recita: ”I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Questo articolo dice: ”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro“ corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi! E‘ stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’è sempre anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è, non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani, una malattia dei giovani …… E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica. La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo. Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori- il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo- io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui- queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto, questa è una delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo. Ora vedete- io ho poco altro da dirvi-, in questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’art. 2, ”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, ”l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. – Fin qui, il pensiero di Calamandrei decisamente sottoscrivibile; ma nell’intero impianto normativo si colgono alcune asimmetrie che, all’epoca della tua redazione forse non erano decisamente evidenti ai tuoi padri costituenti, ma che tuttavia dopo settanta anni di vigenza appaiono stridenti ed intollerabili; mi riferisco alla previsione che le norme di natura fiscale non fossero emendabili per via referendaria, mentre per l’unico diritto carico di effettivo potere conferito al cittadino, ovvero il diritto di voto non è prevista una sanzione penale severissima e irriformabile, nel caso in cui ci fossero brogli elettorali. Proprio questa mancata previsione, cara Costituzione, ha dato origine ad una serie di fenomeni negativi dove l’insediamento dell’uno costituiva terreno fertile per l’insediamento dell’altro, insomma, una precipitazione verso il baratro contraddistinta, purtroppo da una dolorosa progressione geometrica. Non occorrono capacità di analisi elevate per capire che in tutte le competizioni elettorali da quelle politiche a quelle amministrative, la selezione della classe politica voluta o scelta dal popolo – durante le operazioni di spoglio se tutti d’accordo i componenti del seggio elettorale o se le operazioni sono state concluse ad opera del solo presidente di seggio – è stata quasi sempre alterata, se non addirittura cambiata con personale del tutto alieno e distante, in termini di onestà, competenze e capacità professionali, dalle previsioni espresse da Calamandrei. Questa reiterazione del misfatto ha dato lo spazio all’insediamento di un personale politico che ha reso contagiosa la corruzione a tutti i livelli, da qui si è dato il via alla costruzione di opere pubbliche spesso inutili e quelle utili o indispensabili costruite qualitativamente con materiali non all’altezza del compito; si è distrutta la pubblica istruzione tale che dalla scuola non uscissero più o uscissero sempre meno persone dotate di notevoli capacità e ricche di una fiamma spirituale corrispondente alle elevate funzioni che tu Costituzione prevedi siano svolte. La sempre più diffusa incapacità a governare ha dato origine ad una spesa pubblica, non più basata sull’esistenza di risorse finanziarie certe ma sostenute con l’indebitamento pubblico, addirittura con creditori non più nazionali o interni ma esteri, tale che siamo esposti alle turbolenze valutarie perché sfuggite o non più sotto il nostro controllo. Questa sciagurata situazione sta comportando una nuova emigrazione composta però da giovani, inoltre induce alla fuga i pochi cervelli che produciamo e con un dato allarmante sulla denalità, dopo settanta anni di applicazione carissima Costituzione regaliamo un debito di 50.000 € a chi ancora deve nascere. Non c’è che dire!
Cara Costituzione prescindendo dall’impresentabilità della classe politica che abbiamo, Viva, Viva, comunque Viva l’Italia.
Montorio al Vomano 11/01/2018 Domenico Pavone