Politica

OCCHI SUL MALI, LA COMPLESSA SOLUZIONE DELLA CRISI NEL NORD

MALI1Un Paese dimenticato dalle cronache, attraversato dal fiume Niger, nel centro dell’Africa Occidentale. Ma il Mali è anche al centro di forti preoccupazioni per  la sicurezza del Sahel, ritenuto la base di AQIM (Al Qaeda nel Maghreb Islamico).

Nell’Aprile del 2012 diverse formazioni di ribelli Tuareg e di militanti islamisti (Ansar Dine, AQIM, il Movimento per l’unità e la jihad in Africa Occidentale) hanno progressivamente conquistato le tre regioni desertiche di Kidal, Gao e Timbuctu, nel nord del Paese.

Quest’area può fornire loro un rifugio sicuro e potrebbe consentire l’acquisizione di armi lasciate sul territorio da parte delle truppe in ritirata.

In precedenza AQIM aveva consolidato la sua presenza in zone nord-orientali, con alcune basi a Kidal,  e creando un campo nell’area della foresta Wagadou (regione di Kayes), al confine con la Mauritania. Il campo è stato poi smantellato grazie ad un intervento congiunto delle forze militari del Mali e della Mauritania.

Ma non solo AQIM alimenta tensioni preoccupanti, un’altra formazione denominata Ansar Dine sembra svolgere un ruolo sempre più cruciale.

Ansar Dine è un gruppo islamista guidato da Iyad Ag Ghaly, accusato di essere legato ad AQIM e ad altri gruppi islamisti. Ansar Dine aspira all’applicazione rigida della Sharia in Mali, compresa la regione dell’Azawad. È un gruppo di formazione piuttosto recente se si considera che la prima azione del gruppo è avvenuta nel marzo 2012. La base principale si trova presso la tribù degli Ifora, nel sud della terra dei Tuareg.

Il 21 Marzo 2012 il gruppo ha rivendicato il controllo di vaste regioni nel nord-est del Mali, comprese le città di Tinzaouaten, Tessalit e Aguelhok, tutte in prossimità del confine algerino, catturando inoltre 110 prigionieri civili e militari.

Il 3 Aprile viene diffusa la notizia che il gruppo abbia iniziato ad applicare la Sharia a Timbuktu. La notizia viene confermata dallo stesso Ag Ghaly, ribadendo l’intenzione di punire mediante mutilazione i ladri e lapidazione le adultere.

Il radicamento nelle regioni settentrionali dei ribelli è stata in gran parte favorita dalle destabilizzazioni politiche interne causate dal colpo di stato militare nel marzo 2012. Il golpe è stato seguito dalla nomina di presidente ad interim di Dioncounda Traorè, nomina che di fatto è stata consentita dalle trattative avviate dall’ECOWAS (Economic Community of West African States).

Ed è proprio sull’ECOWAS che la comunità internazionale ripone notevoli speranze.  A Bamako venerdì si è tenuto un vertice al quale hanno partecipato anche inviati dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite durante il quale si è discusso del futuro del Paese e della possibilità di un intervento militare congiunto volto a stabilizzare la situazione in Mali.

Tra gli attori europei spicca la Francia, che sembra avere un ruolo sempre più attivo, col ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian in prima fila. Proprio Le Drian sostiene che un intervento armato oramai è solo questione di settimane e che la partecipazione francese consisterà essenzialmente in un supporto logistico e di pianificazione, smentendo le voci sull’eventuale invio sul terreno di militari transalpini. La questione però è appena più complessa.

MALI

Mentre la Francia, notevolmente preoccupata per l’infiltrazione nel Paese di militanti islamisti dediti all’ “arruolamento” di cittadini francesi pronti alla Jihad, ormai spinge con forza per un’azione rapida e concreta, gli altri attori internazionali sembrerebbero ancora cauti. È opportuno infatti pensare che una Risoluzione per un intervento armato potrebbe essere adottata per la fine del 2012, e che quindi l’intervento militare non sembra possibile prima di autunno 2013.

L’organizzazione delle forze ECOWAS, infatti, è comunque un processo lungo e richiede una valutazione attenta della loro capacità operativa. Basti pensare che l’esercito maliano non dovrebbe superare le 2.000 unità e che si trova a fronteggiare un numero di opponenti che potrebbe arrivare addirittura intorno ai 16.000 uomini.

Tra la Francia e il Mali si starebbe mettendo di mezzo, non solo geograficamente, l’Algeria. Bouteflika, l’attuale presidente, non vedrebbe con favore un eventuale dispiegamento di forze militari al confine sud. È da Algeri quindi che verrebbero le spinte per una soluzione diplomatica della crisi del Mali, istaurando delle negoziazioni casomai tra Bamako e le diverse fazioni e milizie che controllano il nord del Paese. Se Algeri scongiura una missione militare è dovuto anche in parte al timore di un aumento di destabilizzazione sociale nelle aree confinanti col Mali (1.400 km), le quali potrebbero alimentare spinte autonomiste nel sud dell’Algeria.

Intanto Romano Prodi, l’inviato speciale Onu per il Sahel, nei prossimi giorni si recherà a New York per discutere degli sviluppi della questione.

Occhi puntati quindi sul Mali. Gli incontri multilaterali attesi nelle prossime settimane consentiranno a tutti di avere un quadro più chiaro della situazione e di conoscere le reali intenzioni della comunità internazionale circa le misure da prendere per risolvere la crisi nel minor tempo possibile.

 

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Claudio D'Angelo

Analista per l'istituto di ricerca sui rischi geopolitici Triage Duepuntozero

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