Politica

Il processo Eichmann e la questione della colpa: da Hannah Arendt a Daniel J. Goldhagen

EichmannIl processo Eichmann qui si colloca come un punto di partenza per l’analisi di una questione oggi ancora quantomai aperta. Le domande da porsi sono: perché Eichmann si riteneva innocente? Pensava davvero di esserlo o è stata una sua costruzione mentale finalizzata alla teoria difensiva? Cosa intendeva per ordine superiore? E per azione di stato?

Dal processo sono ormai trascorsi cinquant’anni, eppure l’evento di Gerusalemme è ancora al centro della diatriba storica, sociologica, psicologica ed a tratti filosofica (si pensi alla recente pubblicazione del testo The Eichmann trial di Deborah Lipstadt). Analizzando le opere di Hannah Arendt e Daniel Jonah Goldhagen su tutti, oltre alla corrispondenza tra la compagna di Heidegger e Gershom Scholem, si scorge un’ampia miscellanea di tesi e ipotesi. Non considerando le questioni tecnico-procedurali inerenti al dibattimento e soffermandomi sulle tesi della Arendt e di Goldhagen che hanno dato i massimi contributi in merito, le loro tesi risultano essere in contrapposizione riguardo a numerosi punti.

Alla domanda postagli da Matteo Sacchi se la banalità del male arendtiana sia stata alla base della violenza di massa perpetrata dalle dittature del Novecento, Goldhagen risponde con un secco no, sottolineando una visione di partenza del fenomeno diametralmente opposta rispetto all’autrice di origini ebree; infatti, mentre la Arendt si basa sul falso (secondo Goldhagen) presupposto che Eichmann fosse soltanto un esecutore di ordini, un burocrate, lo storico statunitense crede che il tenente-colonnello sia stato, di contro, mosso da un ideale eroico; ed è proprio questo il nodo da sciogliere nel caso Eichmann, cosa che diviene complicata per l’assenza di notizie sulla sua infanzia e sulla sua formazione adolescenziale.

 

 

 

La tensione costante tra agire morale ed agire legale che vede inevitabilmente come punto di partenza la concezione filosofica di Immanuel Kant nella sua Critica della ragion pratica, il suo non saper prendere decisioni con una predisposizione a fare il gregario, rappresentano tutti elementi propizi all’attuazione dei crimini che gli vengono imputati in Israele.

Se la Arendt sostiene che Eichmann sia stato mosso da un puro desiderio di far carriera, Goldhagen riconosce nell’antisemitismo il motore principale, se non l’unico, che ha portato Eichmann ad agire come “esperto di questioni ebraiche”.

Il tema della colpa, che sia frutto della banalità del male o del fervore ideologico (deviato) di un individuo, lo si ritrova anche in questi giorni guardando il telegiornale; l’incertezza della colpa la si può coglie nelle parole del 1943 pronunciate dal Ministro della propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels: «passeremo alla storia come i più grandi statisti di tutti i tempi, o come i più grandi criminali».

È quanto mai attuale la vicenda del “boia di Srebrenica”, Ratko Mladic; in apertura di dibattimento ha dichiarato testualmente: «non sono né colpevole né innocente», leggero ricordo della frase di Eichmann («non colpevole nel senso dell’atto d’accusa»).

Mladic sostiene di aver difeso il suo popolo, Eichmann di aver operato secondo le leggi vigenti nel suo paese.

Il caso Mladic, come il caso Gerstein ed Eichmann, molto probabilmente rappresenterà uno dei tanti episodi-chiave che mobilitarono, mobilitano e mobiliteranno intellettuali di svariate formazioni culturali, dai filosofi agli storici, passando per gli psicologi ed i sociologi: la questione della colpa risulta essere un argomento intricato ma che, allo stesso tempo, suscita notevole interesse.

Certo è che Eichmann fu giustiziato subito dopo la lettura della sentenza, rigettando dunque le tesi della Arendt che, seppur non ancora pubblicate, erano già pubbliche.

In realtà, però, la scelta fu manovrata (e ciò è ampiamente documentato) da interessi politici più che da obiettività giuridica: in quegli anni era in gioco la credibilità del neonato Stato di Israele che si apprestava a diventare il paladino di una giustizia finalizzata alla coesione sociale (interna) degli israeliani attraverso l’uso del diritto alla difesa, sancito dalla sua stessa carta costituzionale.

In definitiva è evidente come Eichmann e Mladic avranno due corsi storici nettamente differenti: il secondo, per quanto colpevole od innocente, sarà quantomeno giudicato da una corte internazionale, altro aspetto oscuro sollevato dalla Arendt.

Infine, dunque, Eichmann si ritiene innocente nel senso dell’atto d’accusa perché sostiene sempre di non aver ucciso nessuno, di aver agito esclusivamente nel rispetto delle leggi, anche se criminali, che erano proprie della Germania ai tempi del Terzo Reich… le azioni di Stato come le intende lui!

Il resto riguarda l’evolversi del processo, un’altra storia.

Ciro Fucci

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