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Game of Thrones: il finale di cui avevamo bisogno? *spoiler*

Lo abbiamo immaginato, sperato, ipotizzato, analizzato, alla fine è arrivato: il finale di Game of Thrones. L’ottava e ultima stagione della serie TV più seguita di sempre ha fatto discutere i fan di tutto il mondo, dai momenti epici della battaglia di Grande Inverno alle immagini shock della strage di Approdo del Re, ma stanotte il famoso gioco dei troni ha trovato la sua tanto attesa conclusione. In realtà le indiscrezioni sul finale della serie già circolavano in rete da alcuni giorni, scatenando letteralmente l’ira dei fan che hanno addirittura avviato una raccolta firme per far girare nuovamente l’ultima stagione. Ma facciamo il punto della situazione, con un briciolo di lucidità.

Mai una serie TV aveva catalizzato l’attenzione di un pubblico così vasto ed eterogeneo, amante del genere fantasy o no, questo è un fatto non opinabile ed è anche il punto di partenza di questa analisi. Se dovessimo chiederci perché mai un racconto ambientato in un medio evo alternativo, abitato da draghi, esseri con poteri sovrannaturali, non-morti e giganti abbia riscosso il successo a cui assistiamo, la risposta è in un passaggio proprio dell’ultima puntata. Tyrion, uno dei personaggi più amati dagli appassionati, rivolgendosi agli ultimi sopravvissuti chiede loro cosa unisce le persone: eserciti? Oro? Vessilli? No… le storie. Ma Tyrion, il saggio folletto di casa Lannister, in quel preciso momento non stava forse rivolgendosi a tutti noi? Che non sia tutta lì la morale di questa grande avventura? Forse nel 2019 abbiamo ancora lo sfrenato bisogno viscerale di appassionarci ad una storia, di sentirci profondamente trasportati emotivamente, di proiettare le nostre sensazioni su dei personaggi fittizi, di arrivare ad uno stato di coinvolgimento tale da sentirci parte di quella storia. Se fosse davvero così, ed io lo credo, allora Game of Thrones è una serie TV riuscita in pieno. L’idea stessa che il pubblico possa sentire il bisogno di manifestare attivamente il proprio dissenso verso la conclusione di una storia dimostra che il fan si è spogliato delle vesti di spettatore passivo, ha iniziato a reclamare un qualche diritto sull’evolversi di accadimenti a lui estranei. In un contesto storico e culturale in cui non è più possibile aggrapparsi alle grandi narrazioni del secolo scorso, Game of Thrones ha dato vita ad una dimensione in cui naufragare sospinti dal vento dell’immaginazione, ma soprattutto ha ricordato all’uomo del terzo millennio di essere ancora capace di venire sopraffatti dall’incanto e dalla meraviglia. Che un finale di stagione deluda e sorprenda (in senso sia negativo che positivo) è assolutamente normale, probabilmente è anche giusto. D’altronde dimentichiamo sempre più spesso due grandi verità: per prima cosa che le aspettative sono pericolose tanto nella vita quanto nella fiction, e poi che, volenti o nolenti, ogni storia è una storia infinita. 

Claudio D'Angelo

Analista per l'istituto di ricerca sui rischi geopolitici Triage Duepuntozero

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