Economia

ECONOMIA GANDHIANA

L’economia è divenuta “cosa di tutti” da un po’ di anni a questa parte, paroloni difficili di origine anglofila, tappezzano e riempiono gli articoli dei nostri giornali. Con le righe a seguire, cercherò di soffermarmi, in ordine cronologico sui diversi pensieri economici che hanno forgiato l’economia attuale.

In quest’articolo: Economia Gandhiana.

“I hold that economic progress, in the sense I have put it, is antagonistic to real progress. Hence, the ancient ideal has been the limitation of activities promoting wealth”.

Gandhi (citato in R. Diwan, Gandhian economics and contemporary society).

 

L’economia gandhiana è una scuola di pensiero economico fondata sui principi socio-economici proposti dal leader nonviolento indiano Mohandas Gandhi[1]. Tale scuola di pensiero è determinata dalla sua affinità ai principi e agli obiettivi del socialismo umanistico nonviolento, ma con il rifiuto della lotta di classe violenta e la promozione dell’armonia socio-economica. Le idee economiche di Gandhi vogliono promuovere l’armonia e lo sviluppo spirituale, rifiutando il materialismo. Il binomio “economia gandhiana” è stato coniato da Kumarappa[2], uno stretto collaboratore di Gandhi.

Il paradigma gandhiano è differente in molti aspetti essenziali da quello predominante nelle economie occidentali, la differenza fondamentale è legata alla visione complessiva del funzionamento della società e dell’economia. Nel mondo industrializzato e finanziarizzato occidentale ormai la società nel suo complesso (e quindi cultura, religione, famiglia, socialità ecc.) è trattata (se non ancora pienamente considerata) come un sottoinsieme dell’economia, che dunque tutto domina e che definisce i margini operativi e di autonomia delle altre sfere.

Gandhi riconobbe che le principali influenze sul suo pensiero venivano dalla cultura e spiritualità (anche se per lui la spiritualità era etica) in cui crebbe, l’Induismo (e in particolare lo Yoga[3]), e dal Cristianesimo (il Nuovo Testamento e in particolare il Sermone della Montagna) anche attraverso alcuni grandi intellettuali cristiani del suo tempo come J. Ruskin e L. Tolstoj (col quale mantenne corrispondenza fino alla morte di questi). Come già riportato sopra, Gandhi si faceva aiutare da un discepolo e consigliere in materie economiche, Joseph Cornelius Kumarappa (1892 – 1960), egli era un cristiano di etnia Tamil che già aveva portato nelle sue ricerche ed elaborazioni economiche la sua fede e la sua esperienza umana.

Gandhi considerava la religione come una questione essenzialmente personale, ne apprezzava, nello specifico, il ruolo nel fornire criteri di valutazione morale e quindi di aiuto nelle scelte della vita quotidiana. Oltre a ciò però Gandhi sapeva bene che non si doveva ritenere che ogni parola dei testi religiosi (di qualunque religione, a partire dallo stesso induismo) dovesse essere presa alla lettera come un diretto pronunciamento divino bensì andava assoggettata alla valutazione dell’etica e della ragione.

Un tema fondamentale nell’approccio economico gandhiano è quello dello sviluppo locale autocentrato che, nel contesto indiano è richiamato dal termine swadeshi. Almeno per ora, quest’ultimo sembra essere da noi occidentali considerato come un richiamo ideale piuttosto che una prospettiva concreta. Le implicazioni dello swadeshi sono utili nel favorire una critica al sistema economico attuale ed alla teoria economica preponderante. Nell’economia Gandhiana assumono rilevanza: il riconoscimento fondamentale dell’importanza della scala delle iniziative produttive, la prospettiva emancipatoria (in particolare nelle elaborazioni sul concetto chiave di lavoro autodiretto), la voglia di presentarsi come possibile alternativa radicale (utopia perseguibile) ma anche come percorso per una trasformazione progressiva e non violenta che definisce i suoi passi futuri sulla base delle condizioni (materiali e non solo) e dei valori conquistati di volte in volta. A questi aspetti l’economia gandhiana aggiunge poi la capacità di impostare una visione della complessità umana e sociale che parte dal riconoscimento delle difformazioni personali (non solo di gusti ma anche di valori, di fasi di vita e fasi di sviluppo) e considera il loro riflettersi in diverse forme di interazione sociale.

Il concetto di swadeshi, elaborato da Gandhi, è il “cuore” dell’economia gandhiana. Gandhi partiva dall’assunto che “esiste quanto basta per soddisfare le necessità di tutti, ma non per soddisfare la cupidigia di tutti” e dunque da una posizione anticonsumista e antimaterialista per quanto riguarda i valori e gli stili di vita. Con il concetto di swadeshi egli estese tale approccio anche all’ambito della produzione; difatti con swadeshi intendiamo in senso stretto, autonomia economica locale. Punta sull’idea di “servire i vicini immediati prima degli altri” e di usare “le cose prodotte intorno a noi prima di quelle prodotte in luoghi più remoti”. Le logiche conseguenze di tali premesse (e degli altri punti fermi dell’approccio economico gandhiano, il lavoro autodiretto come servizio alla comunità di appartenenza, il non sfruttamento, l’uguaglianza dei doveri e poi dei diritti, il superamento del materialismo col collegato illimitato desiderio di possesso e la gestione fiduciaria) sono l’orientamento all’utilizzo di tecnologie ad alto contenuto locale e soggette ad un controllo popolare e democratico, quindi verso dimensioni degli impianti produttivi e degli insediamenti umani in genere limitate, e ad una tipologia e livello di produzioni correlate agli effettivi bisogni delle popolazioni.

 

 

    “C’è al mondo gente tanto affamata che Dio non può apparire loro se non in forma di pane.”

Mahatma Gandhi.

 

RIFERIMENTI

·        Centro Studi Sereno Regis, Gandhi: economia gandhiana e sviluppo sostenibile, Torino, SEB 27, 2000.

·        Kumarappa, Joseph Cornelius, Gandhian Economic Thought, 1ª ed., Bombay, Vora & Co. Publishers, 1951.

·        http://kitdidattico.org/files/2011/06/Modelli_di_sviluppo_etica_ed_economia_Gandhiana_Burlando.pdf

·        http://kitdidattico.org/files/2011/08/Economia_solidale_cooperazione_e_mercato_Burlando_Surian.pdf 



[1] Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma (Porbandar, 2 ottobre 1869 – Nuova Delhi, 30 gennaio 1948), è stato un politico e filosofo indiano. Importante guida spirituale per il suo paese, lo si conosce soprattutto col nome di Mahatma, appellativo che gli fu conferito per la prima volta dal poeta Rabindranath Tagore. Un altro suo soprannome è Bapu, che in hindi significa “padre”. Gandhi è stato uno dei pionieri e dei teorici del satyagraha, la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa che ha portato l’India all’indipendenza. Il satyagraha è fondato sulla satya (verità) e sull’ahimsa (nonviolenza). Con le sue azioni Gandhi ha ispirato movimenti di difesa dei diritti civili e personalità quali Martin Luther King, Nelson Mandela, e Aung San Suu Kyi.

In India Gandhi è stato riconosciuto come Padre della nazione e il giorno della sua nascita (2 ottobre) è un giorno festivo. Questa data è stata anche dichiarata “Giornata internazionale della nonviolenza” dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. 

[2] Joseph Chelladurai Kumarappa: figlio di indiani cristiani, Kumarappa nacque a Tanjore nel 1982; ricevette un’educazione di stampo occidentale e nel 1929 si laureò in Finanza pubblica alla Columbia University con una tesi sul rapporto tra la povertà dell’India e la cattiva amministrazione inglese delle finanze del subcontinente. Nello stesso anno Kumarappa fece leggere questo scritto a Gandhi il quale riconobbe immediatamente il valore del giovane economista e gli affidò incarichi di massima importanza, come la direzione di “Young India”, organo di diffusione del satyāgraha (da “satya”: verità e “agraha”: perseveranza) e la conduzione di un’indagine in uno dei più poveri distretti del Kaira. Nel corso di questa inchiesta Kumarappa entrò in contatto con la povertà dei villaggi indiani e rimase affascinato da un sistema socio-economico di relazioni e consuetudini che un tempo aveva garantito autonomia e un florido sviluppo ai villaggi. Ma già allora l’artigianato locale e l’agricoltura di sussistenza erano minacciate dalla massiccia importazione di merci industriali a basso costo e dalla progressiva diffusione delle coltivazioni di piantagione. Kumarappa sentì la “chiamata dell’India” e decise di dedicare l’intera sua esistenza alla rinascita del villaggio indiano. Apre la raccolta un estratto da Economy of Permanence, un’opera che Kumarappa scrisse durante la sua prigionia a Jabalpur nel 1945 e in cui espose con chiarezza il suo pensiero economico. L’economia della permanenza nasce dallo “spirito di condivisione”, che avrebbe portato “alla pace, alla soddisfazione e alla fratellanza”(p. 37). “Nei testi di economia – scrive Kumarappa – si parla molto di produzione, distribuzione e consumo. Ma si ignora completamente l’aspetto più importante dell’economia che riguarda la società nel suo insieme”. Il benessere di tutti, sarvodaya, è il fondamento del pensiero economico gandhiano. Gandhi, tuttavia, non era uno studioso sistematico in materia economica. Fu Kumarappa a coniare il termine di “economia gandhiana” e ad articolarne il pensiero. Il concetto di sarvodaya nasce da una traduzione libera che Gandhi fece di uno scritto di John Ruskin, Unto This Last in cui, prendendo le mosse dalla parabola del vignaiolo (Matt. 20-1,14), l’autore dimostrava l’eguaglianza di tutti i lavoratori. 

[3] Con il sostantivo maschile sanscrito Yoga nella terminologia delle religioni originarie dell’India si indicano le pratiche ascetiche e meditative. Non specifico di alcuna particolare tradizione hindu, lo Yoga è stato principalmente inteso come mezzo di realizzazione e salvezza spirituale, quindi variamente interpretato e disciplinato a seconda della scuola. Tale termine sanscrito, con significato analogo, viene utilizzato anche in ambito buddhista e giainista. Come termine collegato alle darśana, yoga-darśana (dottrina dello yoga) rappresenta una delle sei darśana, ovvero uno dei “sistemi ortodossi della filosofia religiosa” hindu. In epoca molto più recente, si è cercato di diffondere lo Yoga anche nel mondo occidentale.

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