Economia

Una corrente economica viva: intervista al Prof. Vernaglione

Di recente ho scritto un articolo sul pensiero economico della rinomata “Scuola Austriaca”. Sono molti i fattori che mi spingono a considerare questa corrente economica come “viva”. In primis, le nuove generazioni degli esperti ad essa strettamente legata. È come se, a partire da Menger ci fosse stata una sorta di studio continuo che ha permesso di tramandare questa corrente dal 1800 ai giorni nostri. La scuola austriaca, che abbia avuto un calo di appeal o meno, rappresenta sempre un tipo di approccio indispensabile per capire parte degli avvenimenti odierni.

Con l’unico fine di far chiarezza sulle peculiarità della “Scuola di Vienna” e di toglierci qualche curiosità, intervisto il professor Pietro Vernaglione, egli cura un sito sull’economista Murray Rothbard e sul libertarismo.

F.C. Gentile Professor Vernaglione, partendo dalle fondamenta. Che cosa rende secondo lei speciale e ancora attuale la “Scuola Austriaca”?

P.V. Per quanto riguarda il primo attributo da lei utilizzato, la scuola Austriaca è speciale, nonché eterodossa, rispetto alle scuole economiche dominanti, in quanto rifiuta il metodo positivista-empirista. Gli Austriaci seguono un metodo aprioristico, assiomatico-deduttivo, in base al quale da un assioma iniziale, l’assioma dell’azione, e dalle categorie dell’azione, per via logica si ricavano le leggi economiche (principio delle preferenze dimostrate, legge dell’utilità marginale decrescente, legge della domanda, legge dell’offerta ecc.). Il metodo empirico prevalente nelle teorie economiche contemporanee è fallace perché nelle scienze sociali, a differenza delle scienze naturali, non è possibile applicare la condizione del ceteris paribus: gli individui, essendo soggetti attivi e non oggetti passivi, modificano i loro comportamenti in quanto imparano dall’esperienza passata e possiedono il libero arbitrio.

Per quanto riguarda il secondo aspetto – l’attualità della scuola Austriaca – ritengo che essa sia clamorosamente ribadita dall’avverarsi delle previsioni che gli Austriaci, da isolati, avevano effettuato su molti eventi traumatici che hanno colpito le economie negli ultimi anni, dalle crisi fiscali di alcuni stati europei alle esplosioni delle bolle speculative con annesse recessioni.

F.C. Fatta chiarezza sul pensiero economico. Qual è la caratteristica principale del pensiero di Rothbard? Cosa lo fa differire dagli altri esperti all’interno della stessa scuola di pensiero?

P.V. Circoscrivendo il discorso al Rothbard economista, egli, nell’ambito della scuola Austriaca, è appartenuto al filone razionalista che ha origine in Ludwig von Mises, su alcuni punti distinto dal paradigma antirazionalista di Friedrich von Hayek (che enfatizza l’ordine spontaneo e l’inintenzionalità delle conseguenze delle azioni). Nell’ambito della prasseologia misesiana, i contributi di Rothbard sono stati fondamentalmente quattro: teoria del monopolio, teoria della rendita, teoria dell’utilità e analisi dell’intervento coercitivo (interferenze statali). 

F.C. Le tesi della Scuola Austriaca sovente sono opposte a molte delle idee di J.M. Keynes. Potrebbe farci un esempio della differenza maggiore che intercorre tra le due scuole di pensiero?

Al di là degli aspetti metodologici, cui già si è fatto cenno sopra, per quanto riguarda i contenuti delle teorie una distanza rilevante esiste nella lettura del funzionamento dei meccanismi di mercato. Per Keynes risparmi e investimenti possono non coincidere, e in particolare è possibile che gli investimenti siano inferiori ai risparmi, e a un livello tale da non garantire la piena occupazione. Per  Keynes  risparmi e investimenti sono indipendenti, in quanto il  risparmio dipende dal reddito e gli investimenti dal tasso di interesse e dalle prospettive future di profitto. Per gli Austriaci invece risparmi e investimenti non sono indipendenti, sono uguagliati dal tasso di interesse, che rappresenta la preferenza temporale; dunque non vi può essere in permanenza un eccesso di risparmio rispetto all’investimento; e non esiste alcun ‘paradosso del risparmio’. Da tale divergenza discende anche la spiegazione delle recessioni o delle depressioni, che per Keynes dipendono da limiti intrinseci al mercato (da superare con l’intervento statale); mentre per gli Austriaci dipendono proprio da un intervento statale, in particolare dagli interventi espansivi di tipo monetario, che, abbassando artificialmente il tasso di interesse al di sotto della preferenza temporale, inviano falsi segnali agli imprenditori e determinano un surplus di investimenti. La depressione è la fase, dolorosa ma necessaria, in cui il sistema economico si scrolla di dosso tali investimenti sbagliati. 

F.C. Tornando a Rothbard. Egli fu fautore del “Libertarianismo”. Che cos’è?

P.V. Il libertarismo è una filosofia politica, dunque il suo campo di indagine è l’esame delle condizioni e dei vincoli necessari per la realizzazione di un assetto sociale giusto: in ultima analisi, è interessato ai requisiti di legittimità, e quindi ai limiti, nell’uso della forza nei rapporti fra gli individui, stabilendo quali azioni umane possono essere vietate e, correlativamente, quali consentite. Il principio fondamentale è il divieto di aggressione, dunque la garanzia della libertà individuale intesa come tutela integrale dei diritti di proprietà. In sostanza il libertarismo sviluppa la libertà “negativa” liberale. Sulla base di vari argomenti i libertari dimostrano che ciascun individuo è proprietario di se stesso, cioè del proprio corpo, e dei beni che ha prodotto o che ha ricevuto nel corso di uno scambio volontario. Di conseguenza l’assetto giuridico di qualsiasi società dev’essere incentrato sul seguente principio: deve essere illegale dare inizio alla violenza contro un individuo o i suoi beni senza il suo consenso (assioma di non-aggressione). In altri termini, nessuno può usare per primo la forza fisica contro un altro uomo o i suoi beni. L’uso della forza è giusto solo per rispondere ad una violenza iniziale, cioè per interrompere la violenza intrapresa per prima da una persona, o per sanzionare colui che ha dato inizio alla violenza. Questa acquisizione è densa di conseguenze politiche, che rappresentano i temi forti del pensiero libertario: dal fatto che sono consentite tutte le azioni tranne gli atti palesi di aggressione, si desume che le norme giuridiche non devono: 1) vietare agli individui le azioni che “danneggiano” se stessi o imporre loro comportamenti ‘nel proprio interesse’, in quanto ciascuno, essendo proprietario del proprio corpo, deve poterne disporre come crede; 2) vietare gli scambi consensuali, cioè tutti gli scambi intrapresi volontariamente dalle persone. Ciò implica la liceità di attività in genere vietate dalla legge come la produzione, lo scambio e il consumo di droghe, farmaci e alcolici, la pornografia, la prostituzione, l’usura, il gioco d’azzardo, la prodigalità, il suicidio, l’eutanasia su richiesta dell’interessato, la libera compravendita degli organi e tutti gli altri casi di “crimini senza vittime”; tutte azioni legittimate dall’autoproprietà e dal consenso di coloro che le vogliono intraprendere.

F.C. Un articolo de “Linkiesta”, di pochi giorni fa riporta che i sindaci repubblicani negli States stanno scomparendo. Nelle maggiori città americane è difficilissimo trovare un major del GOP. Questo potrebbe esser dovuto alla spinta estremista del Tea Party che sta spaccando oltre all’elettorato anche il partito. Tra le correnti repubblicane vi è anche quella “libertaria” in cui sono coinvolti anche esponenti del Partito Libertario (di influenza libertarianista). Crede che questa corrente moderata (a favore dei diritti dei gay, della ricerca sulle cellule staminali e dell’aborto, ma anche delle privatizzazioni e del libero scambio) possa opporsi alla deriva estremista propugnata dal Tea Party?

P.V. Ritengo che la lettura debba essere più problematica: ciò che è vero per i sindaci, cioè per le città, non è vero per i governatori. E non sono sicuro che gli insuccessi del partito repubblicano nelle elezioni amministrative dipendano dall’influenza del Tea Party, che viene considerata una forza “estremista” dall’establishment, anche giornalistico (e di riflesso così viene percepita anche dai commentatori europei), solo perché esprime posizioni eterodosse rispetto al modello di consenso socialdemocratico-liberal che ormai permea le élites. L’eterogeneità culturale, e quindi politica, degli Stati Uniti consiglia di distinguere da stato a stato. Lo stesso vale per l’influenza libertaria (relativamente alla quale preferisco l’impostazione di Ron Paul più che quella left-libertarian che ruota intorno al Libertarian Party). Ad esempio, dubito che il sostegno ai matrimoni gay possa suscitare ampi consensi in molte contee del Texas o dell’Alabama. 

Ringrazio il gentile professor Vernaglione per l’intervista e lo invito a scrivere per la sezione “economia” della rivista online “Convincere”.

Metto in evidenza (per eventuali interessati al tema) il sito del Professore.

http://www.rothbard.it/

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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