Elogio del gatto
La tardiva convivenza con questo essere vivente, l’osservazione del suo modo di porsi, la grazia dei suoi movimenti, la manifestazione del suo affetto, veramente gratificante, mi hanno indotto a scrivere queste righe, per il cui contenuto mi sono rigidamente imposto di non scivolare nella banalità. Per raggiungere questo scopo mi sono messo ad indagare cosa la scienza, la letteratura e gli argomenti più seri e profondi dicessero di questo straordinario essere vivente dotato di misterioso fascino, di poteri magici o di qualità soprannaturali.
Soffermiamoci, tanto per cominciare sull’origine del nome che porta. Qui la questione è un po’ contorta o controversa, anche se tutti convergono sul fatto che i primi termini utilizzati per indicare il gatto nascono in Egitto: Myeou, onomatopeico, è il gatto di sesso maschile; mentre ignota è l’origine di Techau, gatta, nome inciso alla base delle statuette funerarie poste nelle tombe femminili. A partire da quest’ultimo termine, i Copti chiamarono il gatto Chau, conservatosi nel termine atto ad indicare il gatto selvatico dell’Egitto e dell’Asia (Chaus). Nel V secolo a.C., Erodoto ebbe modo di conoscere questo felino e gli diede il nome di Ailouros (“dalla coda mobile”), termine che presto venne sostituito da Gale, vocabolo greco utilizzato originariamente per la donnola (in età tarda si utilizzò kàttos). I gatti sono stati i protagonisti di miti e leggende di tutto il mondo fin dall’antichità.
Nell’antica Roma il gatto selvatico veniva detto Felis, da cui derivano i nostri felino, felide, ecc. Dal IV secolo d.C., compare il termine Cattus, di derivazione presumibilmente africana (il nubiano kadis) o celto-germanica (nei cui idiomi viene variamente riprodotta, ad esempio: irlandese cat, antico tedesco chazza, antico scandinavo kötr). Una possibile origine semitica del vocabolo potrebbe essere attestata da un’opera armena del V sec., in cui si trova catu, a cui fa riscontro il siriano gatô. Cattus sarà all’origine del nome del gatto nella maggior parte delle lingue europee (cat inglese, katz tedesco, kat olandese, gato spagnolo e portoghese, chat francese, kochka russo).
Gli Egiziani sono stati i primi ad addomesticare i gatti, circa 4.500-4.000 anni fa. Il gatto era legato principalmente alla dea Bast (o Bastet). Bast, protettrice dei gatti e di coloro che si prendevano cura dei gatti, era una dea potente, legata a Ra, simbolo della femminilità, della sensibilità e della magia; proteggeva, inoltre, i bambini, l’amore, la fertilità, la famiglia e la casa. Il suo culto era incentrato nella città di Bubastis (chiamata “Per-Bast” o “Casa di Bast”), dove si ergeva il suo tempio, che Erodoto annovera tra i più magnificenti, e nelle cui necropoli furono trovate centinaia di mummie di gatti. La stessa Bast era rappresentata o sotto forma di gatto o come donna dalla testa di gatto; inoltre, si credeva che guidasse un carro da loro trainato.
Da qui, la credenza egizia femminile che la bellezza dei gatti fosse divina, ideale, fatale, tanto che le donne si truccavano accentuando dei particolari tipicamente felini, soprattutto la forma degli occhi, per accentuarne l’aria misteriosa. Il gatto, la cui pupilla subisce delle variazioni che ricordavano le fasi della luna, veniva paragonato alla sfinge per la sua natura segreta e misteriosa e per la sensibilità alle manifestazioni magnetiche ed elettriche. Inoltre, la sua abituale posizione raggomitolata e la facoltà di dormire per giornate intere ne facevano, agli occhi degli ierofanti, l’immagine della meditazione, esibita come esempio ai candidati all’iniziazione rituale. Si affermava, infine, che il gatto possedesse nove anime, e godesse di nove vite successive. Il gatto era sacro al Sole e a Osiride, la gatta era sacra alla Luna e a Iside. Il gatto con le sue nove anime è naturalmente psicopompo come lo stesso Osiride, signore dell’Oltretomba, chiamato spesso il Nero.
Quel nero che nella mentalità occidentale viene visto in maniera sostanzialmente negativa, in quanto legato al buio delle tenebre, alla morte, al lutto, all’ignoto, ma che in altre culture ha valenze positive: è il colore del vuoto primordiale, del principio, dell’assoluto che racchiude le potenzialità che precedono la creazione del mondo, quindi della creatività latente. Quel nero che è anche la tonalità preferita da Iside, la Dea della buona sorte dall’anima felina e, di conseguenza, il Gatto nero era il più sacro per suoi devoti. Ed il gatto nero ha un pelo lucidissimo che ben riflette la luce….. Anche gli antichi Greci ritenevano il Gatto un animale sacro, correlato alla dea Artemide, Dea della Caccia e della Luna. Narra la leggenda che la Dea potesse liberamente trasformarsi in un Gatto. Anche nell’antica Roma i Gatti erano sacri a Diana e si credeva che avessero poteri magici, concessi loro dalla Dea. Quando moriva un Gatto nero, veniva cremato e le sue ceneri sparse sui campi per propiziare un buon raccolto ed eliminare le erbe infestanti. Il gatto è alla costante ricerca di dormire sopra i cosiddetti “nodi di Hartmann”, ossia quelle particolari intersezioni delle linee del campo magnetico terrestre che avviluppano tutto il pianeta ad intervalli regolari. Se un uomo sostasse a lungo sopra uno di questi nodi, proverebbe una sensazione di spossatezza e via via di malessere: non così il Gatto, che sembra al contrario rilassarsi in questi nodi evitati da tutti gli altri animali.
Questa percezione del magnetismo è nota in tanti animali, come ad esempio tutti i migratori, ma il Gatto fa di più, è come se fosse in connessione con l’Energia Oscura che permea tutto l’Universo. Se pensiamo che questa energia, teorizzata e dimostrata attraverso calcoli matematici ma non ancora avvistata per il già citato deficit sensoriale degli esseri umani, è in relazione con i riti magici ancestrali legati al concetto della Dea Madre, si comprende come gli Egizi avessero potuto divinizzare il gatto come esponente terreno della stessa divinità femminile universale. Condividiamo a proposito il pensiero del medico nonché Etologo e filosofo austriaco Konrad Lorenz: “Esistono alcune cose nella natura nelle quali la bellezza e l’utilità, come la perfezione artistica e tecnica, si combinano in modo quasi incomprensibile: la tela del ragno, l’ala della libellula, il corpo stupendamente affusolato del delfino, e i movimenti del gatto”. Il Gatto inoltre conosce istintivamente i segreti del benessere e dell’armonia, infatti i monaci zen ritenevano che era in grado di “mostrare la Via”.
Molti si sono chiesti che cosa stiano guardando i Gatti quando si siedono così, fermi, apparentemente persi nei loro “pensieri”, o forse “a sognare ad occhi aperti”. Loro stanno guardando dentro, guardano la trama della vita attraverso loro stessi. Stanno osservando l’affascinante connessione, lo svolgersi di vite dentro alle vite, mondi dentro ai mondi. Gli animali sono sempre connessi alla trama della vita, non ne perdono mai la consapevolezza. Stanno ascoltando la dolce canzone della trama della vita, che li rassicura della bellezza senza fine. Questa voce, o la loro canzone personale, è semplicemente il loro modo di vibrare. Proviene da loro in ogni momento, e conoscendo questa canzone, essi sanno sempre in che modo adattarsi, sanno esattamente qual’è la loro relazione con ogni altra forma di vita, istantaneamente. Perciò, diversamente dagli umani, loro non si perdono mai.
Ma più di tutto, occorre cogliere ed osservare le sue sfumature, per imparare da lui a percepire i mondi sottili, le dimensioni invisibili che ci circondano. Chiunque viva con un Gatto non ha alcuna difficoltà a riconoscere le sue facoltà psichiche ed extrasensoriali. Alcune dottrine antroposofiche spiegano inoltre che molti animali e i Gatti in particolare, possiedono la capacità di vedere l’aura che circonda gli esseri umani, il corpo sottile, ovvero i colori che circondano una persona e che sono lo specchio dei suoi stati d’animo, delle sue paure e convinzioni, del suo stato emotivo e fisico. Il gatto astuto, intelligente, sensuale, inafferrabile, empatico, connesso, psicopompo, notturno, archetipo del femminile e forma animale dello stesso Dio Mercurio, la natura che vince la natura e la rende filosofale. E’ stato riscontrato che i cani diventano inquieti e nervosi quando sentono avvicinarsi il pericolo, addirittura percepiscono quarantotto ore prima l’arrivo di un terremoto. In un laboratorio di studi di San Paolo in Brasile, pronosticano con stupefacente precisione l’arrivo di tifoni e cicloni per mezzo della sensibilità dei gatti. I nostri animali domestici sono dotati di facoltà extrasensoriali eccellenti. Sentono quando il padrone sta per morire o è in pericolo anche se è lontano centinaia di chilometri. Hanno la capacità di leggere nella mente e intuire stati d’animo, di attraversare un continente alla ricerca del padrone perduto, e addirittura presagire e salvare i padroni da un imminente evento nefasto.
Questi esempi, e moltissimi altri simili, dimostrano senza alcun dubbio come tali esseri che l’uomo con ingiusta e sciocca presunzione considera inferiori, abbiano saputo mantenere il contatto con le sottili energie che permeano la Natura, e che l’uomo cosiddetto “civilizzato”, prigioniero del cemento, della tecnologia avanzata, e di falsi miti del progresso, ha spesso irrimediabilmente perduto. I nostri fedeli amici, frastornati dai molteplici inquinamenti dell’ambiente, dalla distruzione dei loro habitat naturali e dall’indegno e spietato sfruttamento al quale l’uomo li ha sottoposti, continuano nonostante tutto a sentire il loro legame con il grandioso e mistico Tempio che è la Natura. Per alcuni studiosi tutto il mondo animale interagisce con linee d’energia che pervadono il pianeta. Secondo questi ricercatori la Terra è circondata da una fitta rete di linee verticali ed orizzontali, un po’ come sul nostro mappamondo vediamo le linee di latitudine e di longitudine, ma molto più fitte, intorno ai 2 metri e mezzo tra una linea e l’altra. Quando linee orizzontali e verticali si congiungono creano zone energeticamente perturbate, conosciute come i nodi di Hartmann.
Da questi nodi si formerebbe un’energia ascensionale che andrebbe ad interagire con la superficie esterna del pianeta. Queste linee di energia, ricoprono tutta la nostra Terra come una gigantesca griglia sotterranea, che trasmette alla superficie parte dell’energia che in esse fluisce, finendo per interessare direttamente cose, animali e uomini. Gli animali sentono questa energia e reagiscono di conseguenza: ad esempio il cane ha un’istintiva antipatia per le zone perturbate, mentre il gatto ama le vibrazioni dei raggi tellurici della rete e sceglie i luoghi a maggiore sollecitazione. Le api producono una quantità tripla di miele se sono su un nodo, le termiti e le formiche, invece, cercano le zone di più intensa irradiazione per costruirvi le loro dimore. E’ fondamentale precisare che le fasce sono indice di vitalità della terra, in quanto essere vivente e non sono nocive di per sè. La nocività si manifesta quando questi campi elettromagnetici naturali entrano in conflitto con quelli artificiali, accumulando in eccesso livelli di energia. Secondo i ricercatori, più si intrecciano le linee, più si formano potenti nodi radianti, che possono sviluppare le geopatologie, anche gravi a causa dello stazionamento prolungato a questi flussi energetici tellurici.
Sin dall’antichità gli insediamenti umani non sono mai stati casuali. Dolmen, obelischi, menhir, piramidi e grandi cattedrali ne sono un esempio. Nulla era dato al caso. Grande attenzione veniva data non solo alle risorse che un territorio offriva, ma anche alla sua “salute energetica”. Per percepire tale salute si utilizzavano metodi legati ad abilità oggi non più considerate attendibili, quali la radiestesia, le capacità rabdomantiche, le visioni o le divinazioni. In ogni caso un luogo doveva emanare un certo tipo di energia per essere adibito ad una certa funzione e non a caso i templi erano situati in posti con determinate caratteristiche. Tutto ciò ci fa pensare che esista una fisiologia energetica della Terra che in qualche modo era palese ai nostri predecessori, oggi purtroppo scientemente occultata.
Ma a mio modesto parere chi meglio di tutti riconduce il Gatto ad una delle considerazioni più profonde, è il noto e misterioso alchimista Fulcanelli che nelle sue “Le dimore filosofali”; ci parla di un certo Louis d’Estissac un alchimista che, tra il 1542 e il 1568, volle costruirsi il castello di Coulonges-sur-l’Autize il cui soffitto era composto da quasi cento cassettoni, tutti diversi. Nello spiegare alcune figure simboliche, Fulcanelli si sofferma sulla presenza della rosa, la quale tradisce l’elevato grado di gerarchia iniziatica di questo alchimista (Louis d’Estissac) e ci spiega che la rosa centrale appare in mezzo ad una croce di sant’Andrea…Questo è il gran simbolo della luce manifestata che è indicata dalla lettera greca χ (Khi) iniziale delle parole χώνη, χρυσοϛ, χρονοϛ, il crogiuolo, l’oro ed il tempo, triplice incognita della Grande Opera. La croce di Sant’Andrea (χιασμα), che ha la forma della nostra X, è il geroglifico, ridotto alla sua più semplice espressione, delle radiazioni luminose e divergenti emanate da un unico fuoco. Appare, dunque, come il geroglifico della scintilla. Queste linee incrociantesi formano lo schema dello scintillio delle stelle, della dispersione radiante di tutto ciò che brilla, illumina,, irradia. E così se ne è fatto il sigillo, il segno dell’illuminazione, e, per estensione, della rivelazione spirituale. … La χ greca e la X rappresentano la scrittura della luce per mezzo della luce stessa, la traccia del suo passaggio, la manifestazione del suo movimento, l’affermazione della sua realtà.
E’ il numero completo dell’Opera, perché l’unità, le due nature, i tre principii ed i quattro elementi formano la duplice quintessenza, le due V, nella cifra romana X, che indica il numero dieci. In questo numero si trova la base della Cabala di Pitagora, o della lingua universale. Gli tzigani utilizzano la croce o la X come segno di riconoscimento. Guidati da questo simbolo grafico tracciato su un albero o su qualche muro, essi si accampano sempre al posto occupato un tempo dai loro predecessori, accanto al simbolo sacro che essi chiamano Patria. Si potrebbe credere che questa parola sia d’origine latina, ed applicare ai nomadi quella sentenza che i gatti, – oggetti artistici viventi,- si sforzano di praticare: Patria est ubicumque est bene, dovunque si stia bene, là è la patria; ma invece questo emblema deriva loro dal greco, con il significato di famiglia, razza, tribù. La croce degli zingari indica dunque chiaramente il luogo di rifugio riservato alla tribù. E’ strano, del resto, che quasi tutti i significati rivelati del segno X abbiano un valore trascendente o misterioso. X, in algebra, indica la, o le, quantità incognite; ed è anche il problema da risolvere, la soluzione da scoprire; è il segno pitagorico della moltiplicazione e l’elemento della prova aritmetica per nove; è il simbolo popolare delle scienze matematiche, per quel che riguarda ciò che esse trattano di superiore o d’astratto. La X è l’emblema della misura (μέτρον),presa con tutte le accezioni: dimensioni, superficie, spazio, durata, regola, legge, confine o limite. Questa è la ragione occulta per la quale il prototipo internazionale del metro, costruito in platino-iridio e conservato nel padiglione di Breteuil, a Sévres, ha come sezione trasversale il profilo di una X. Esaminate diatomee, ricci di mare, stelle di mare, ma senza cercare oltre, aprite una conchiglia commestibile, – patella, petonchio, conchiglia di San Giacomo, – le due valve, deposte su di un unico piano, vi mostreranno due superfici convesse provviste di solchi a doppio ventaglio della X misteriosa, avrete, de visu, la più brillante, la più meravigliosa conferma di questa volontà divina. Sono i baffi del gatto che hanno fatto dare questo nome al piccolo felino, infatti χ(ά) è il Segno della Luce nel dialetto piccardo e provenzale custode delle tradizioni della lingua sacra, ha conservato il primitivo suono duro Ka per indicare chat; non ci si sogna neanche che essi nascondano un altro punto della scienza, e che questa segreta ragione valse al grazioso animale l’onore di essere elevato al rango delle divinità egiziane. Nelle figure sottostanti troviamo una statuetta egizia del gatto trovata in una delle tante tombe e la stella a cinque punte che oltre che figurare nello stemma della nostra Repubblica era il simbolo eccellente dei Pitagorici. Proprio nell’osservazione attenta della forma anatomica della testa di questo magico essere vivente, ho notato che si trattasse di un pentagono sormontato da due triangoli equivalenti alle orecchie, se potessimo aggiungere di color rosso, per renderlo evidente, alla punta in basso del pentagono una X di color rosso messa di traverso, non potremmo ignorare che la testa di questo fantastico essere vivente è materialmente il simbolo e l’incarnazione di tante conoscenze e di tanti saperi ai quali volentieri ci inchiniamo!
Teramo, 24 luglio 2019
Domenico Pavone