“Il Re Leone”: ci piace davvero mettere in gioco la nostra infanzia?
Non vi è dubbio che il live-action de “Il Re Leone” fosse uno degli eventi più attesi di questo 2019 e, devo dire, che l’attesa non è stata per nulla delusa. A primo impatto, “The Lion King” è opera digitale senza precedenti e da lasciare senza fiato, arricchita poi dalle voci magnetiche di Elisa, Marco Mengoni e, non da ultimo, Luca Ward, che in questo contesto dà voce a Mufasa, ma divenuto famoso per essere stato il doppiatore di Russell Crowe ne “Il Gladiatore”.
In tutto questo turbinio di bellezza, c’è un però: manca il sentimento.
Siamo davvero sicuri che la realtà superi la fantasia? Mi spiego meglio: la grafica da documentario naturalistico davvero ci offre le stesse sensazioni che in precedenza ci ha dato il cartone animato?
La mia risposta è no: nella versione 2019 del film ci viene tolta la più grande possibilità che ci viene data da ciò che è cartone animato, ossia la possibilità di immaginare come sarebbe nella realtà. Un esempio: nella mia fervida immaginazione di bambina, mai mi sarei immaginata la versione “reale” di Simba come quella che è stata veicolata in questo film, eppure il formato documentario ha come limitato la mia immaginazione, le mie fantasie.
A favore di chi invece preferisce il live action, c’è anche da considerare che i bambini nati negli ultimi anni troverebbero senza dubbio atemporale e anacronistica la versione 1994 del film.
La mancanza della possibilità di immaginazione ci porta a considerare anche un ulteriore vuoto: manca Ivana Spagna, che in questa occasione ha passato il testimone a Cheryl Porter (famosa vocal coach). Non voglio dire che questa sia da meno, anzi, la voce e forse più pulita di quella della Spagna.
Eppure, il fatto è che noi siamo abituati a sublimare i ricordi della nostra infanzia come perfetti, immutabili: non che il cambiamento sia negativo, ci mancherebbe, è solo che gli aggiornamenti non hanno lo stesso sapore profondo ed empatico di ciò che abbiamo conosciuto prima.
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