Cultura

INTERVISTA A MAX MATTEI

Appassionato sin da giovane all’arte e alla poesia, Max Mattei ha avuto una formazione artistica solida, dovuta al Liceo Artistico prima e all’Accademia poi, grazie alla quale gli sono stati conferii svariati premi e riconoscimenti. Personaggio eclettico e complesso, l’artista è in grado di portare la sua personalità vivace, ma allo stesso tempo riflessiva, anche nell’arte, grazie alla compresenza di tendenze classiche, metafisiche ed astratte, che vanno ad interagire con un simbolismo importante, espresso non solo su tela, ma anche tramite la scultura su legno e pietra.

 

1.Iniziamo subito da una domanda bruciapelo: quando hai capito che saresti stato un artista? Secondo te, artista si diventa o si nasce?

Ho iniziato a disegnare e a creare sin da bambino. Credo che l’arte intrinseca di ognuno sia sia spirituale che psicofisica e chi la pratica con il cuore, allora trasmette emozioni. In ogni opera, chi ne è all’altezza, può leggere o vedere l’autore…a meno che l’opera non sia richiesta dal committente, ovviamente.

2.Sei sia pittore che scrittore, quale credi sia il “filo rosso” che tiene unite queste due tue attività? Credi di riuscire ad esprimere le tue sensazioni in ugual modo sia scrivendo che dipingendo?

Credo che ogni tipo di arte possa essere espressa sia coi gesti che con le parole. Alle elementari non conoscevo gli artisti, poi ho iniziato ad amare Michelangelo, Leonardo e Caravaggio. Credo che col tempo tutti gli artisti più e meno famosi aiutino a capire noi stessi. Per molti anni ho espresso le mie sensazioni attraverso la pittura e la scultura, poi ho sentito in me qualcosa che volevo esprimere, e volevo esprimere queste sensazioni scrivendo, ma non avevo il coraggio iniziare. Poi una volta, un amico mi fece leggere un libro che stava scrivendo, coi primi PC…quello fu la spinta grazie alla quale iniziai, e ci aiutammo a vicenda. Il mio primo libro fu in parte autobiografico, come fanno tutti.

3.Quali sono gli stimoli che ti aiutano nel tuo processo creativo? Quali sono gli artisti che ti hanno avvicinato alla pittura e quali sono quelli che effettivamente ti hanno ispirato nel corso del tempo? Perché?

Lo stimolo principale per creare mi viene dalla volontà di voler comunicare al prossimo. Senza dubbio sono stati Caravaggio e De Chirico ad ispirarmi, dato che prendono in esame principalmente l’anatomia umana.

4.Quali sono i soggetti e i temi che senti ti rappresentino meglio?

Penso che i soggetti che mi rappresentano meglio siano i paesaggi. Se vedo un paesaggio che mi colpisce, mi basta farlo mio mentalmente, poi sulla tela o tavola lo trasferisco con i colori, a volte aggiungendo o togliendo qualcosa, rendendolo più personale.

5.Mi hanno colpito molto quelli che io definirei i “senza volto”; sicuramente sono una rivisitazione ben pensata della corrente metafisica, ma tu cosa vuoi esprimere con essi? Io, ad esempio, ci vedo una spiritualità davvero alta, ma resa, allo stesso tempo, terrena.

Le mie opere senza un volto hanno il seguente significato: raffigurando il volto, credo che l’opera perda significato artistico e che venga, allo stesso tempo, penalizzato l’osservatore, bloccando quindi la sua immaginazione. Senza volto chi guarda può vedere chiunque, completando da sé l’opera, che diviene quindi mentale. Io amo la metafisica, tecnica che coinvolge ogni osservatore con un briciolo di segreta sensibilità.

6.Riprendi uno dei tuoi “senza volto” anche sulla copertina del tuo romanzo “L’Ultima Fuga”, vuoi raccontarci qualcosa a riguardo? 

Sulla copertina del romanzo l’Ultima Fuga, è rappresentato il frate, personaggio del libro,  così come la monaca di spalle. L’editore, inizialmente, avrebbe cambiato sia il titolo che la copertina, ma io in sua presenza la volli così come si presenta ora.

7.C’è un dipinto, che è poi a tutti gli effetti un autoritratto, nel quale ti mostri in vesti apostoliche, ricordando quasi l’idea rinascimentale della rappresentazione di s.Pietro, idea dovuta anche alla barba e ai capelli candidi. Perché questa scelta? È voluto il riferimento a questo tipo di iconografia?

Il dipinto a cui ti riferisci in realtà comprende un po’ di tutto, ma principalmente me stesso. Se osservi con attenzione lo sguardo del soggetto, questo va oltre il presente. Non avendo il modello, ho pensato di utilizzare le mie mani, compresi in parte naso, occhi e barba. L’insieme è dato dalla luna tra le nuvole per la luce e il cane che beve come compagno della solitudine.

8.Abbiamo parlato di rinascimento e metafisica, ma in alcune opere ho visto anche del futurismo. Mi riferisco ovviamente alle opere nelle quali hai deciso di inserire delle scritte. Come nascono questi lavori? Che ruolo ha la parola nella tua attività artistica?

Riguardo al futurismo, mi riferisco all’astratto in parte, aggiungendo delle lettere, che in realtà, unendole, portano con sé un significato. Prendo “La Rondine Ferita”: inizialmente ho usato quella tavola come tavolozza, e, al termine di altra opera che stavo eseguendo, notai su quei colori sparpagliati e vari un significato, ho quindi aggiunto le mie impronte, la firma, l’anno attuale e il sangue che scende dalla rondine ferita impigliata tra le spine.

9.Ultimo tema che vorrei affrontare è quello dell’umano in generale e del pagliaccio in particolare. Perché sei cosi affascinato dai pagliacci? Come può rappresentare questo soggetto l’umano?

L’umano ha mille facce, e il pagliaccio le usa ogni volta diverse, a seconda del personaggio che vuole interpretare, che sia sorridente o sofferente.

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Francesca Bortoluzzi

Classe 1994, nata a Belluno. Studentessa d'arte a Trento e grande appassionata di musica, soprattutto elettronica. Scrive da anni per vari media, nella perenne ricerca di nuovi stimoli e sensazioni.

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