Cultura

LE FESTE

Museo Arti e Tradizioni RomaL’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia con il suo Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari raccoglie le testimonianze legate alla tradizione popolare, all’artigianato ed ai mestieri e per chi lo visita per la prima volta regala un’appassionante riscoperta di oggetti d’uso comune più o meno conosciuti provenienti da tutte le regioni d’Italia e suscita un vivido ricordo di avvenimenti legati al lavoro ed alla vita quotidiana dell’Uomo con le sue credenze e superstizioni.

Il Museo che nasce con l’Esposizione Internazionale del 1911 ha competenze di tutela, salvaguardia e valorizzazione in questo ambito e coinvolge nella sua attività istituzionale numerose altre strutture della pubblica amministrazione, con l’obiettivo della conservazione ed in qualche modo di trasmissione della conoscenza dei beni materiali ed immateriali che costituiscono la cultura del Paese. Tra questi beni rientrano le Feste siano esse religiose o laiche di tutte le località del territorio con le loro complesse manifestazioni; ed è per questo appuntamento, che vorrei offrire a quanti leggeranno questo testo scevro di ambizioni specialistiche, qualche accenno su alcune Feste romane che molto spesso traggono la loro origine dalla ROMA dei fasti e dei miti. La prima è la Festa di San Giuseppe che ricorrendo il 19 marzo, apre la trattazione di questi brevi appunti; da sempre a Roma in una ipotetica scala di importanza la festa di San Giuseppe occupa un posto di rilievo riferendosi ad un Santo oggetto di grande venerazione popolare sia per essere un falegname che il Padre per eccellenza della tradizione cattolica.

 

Nelle numerose chiese a lui intitolate si svolgevano particolari celebrazioni soprattutto in quella dedicata a San Giuseppe dei Falegnami al Foro, edificata a spese dell’Universitas Fabrorum Lignariorum, che lì ebbe la sua sede nel XVI secolo; San Giuseppe viene definito Frittellaro, perché per la sua festa i bancarellari di Roma preparavano sulle bancarelle ornate di “apparati, frasche, bandiere e lanternini” le frittelle dolci. I pregi delle frittelle erano celebrati in versi composti dagli stessi friggitori che invogliavano i clienti all’acquisto, cosa che si tramandò nei tempi, tanto che, nel 1950 l’attore Checco Durante riprendendo la tradizione, compose i versi di una canzone che veniva cantata durante la processione che si teneva nei primi del novecento nell’allora appena edificato quartiere Trionfale, sede di una chiesa dedicata al Santo: “San Giuseppe frittellaro/tanto bono e tanto caro/tu che sei così potente/ da aiutà la pora gente/tutti pieni de speranza/te spedimo quest’istanza”.

Interessante è anche citare quanto avveniva in attesa di una festa cioè alla vigilia dell’Ascensione, quando dopo i rintocchi dell’Ave Maria, tra le usanze romane si ricorda l’avvio alla caccia agli scarafaggi, i“bagarozzi”. Le massaie, come racconta Ceccarius, procedevano all’eliminazione degli insetti infliggendo un tormentoso supplizio, cioè ponendo loro sul dorso dei moccoletti accesi. La scena ricorda quella di una beffa di Buffalmacco, in una novella di Franco Sacchetti, in cui una frotta di ragazzi inseguendo gli scarafaggi intonava”Curri,curri,bagarone,che domani è l’Ascensione e se tu non correrai tutto il cul t’abbrucerai”. La crudeltà riservata agli scarafaggi, era dovuta alla credenza che essi fossero sudditi del Signore delle tenebre; questa usanza può essere ricollegata, come tutte le pulizie pasquali, agli antichi riti di purificazione delle case.

Il 13 giugno si svolgeva la Festa delle fragole in occasione della ricorrenza della morte del Santo portoghese Antonio da Padova; essa veniva celebrata a Campo de’ Fiori, e fu ribattezzata dai romani il Trionfo delle Fragole. Veniva preparato un enorme canestro di circa due metri di diametro nel quale veniva collocata una statua del Santo circondata da cestini colmi di fragole raccolte dai fragolari e dalle fragolare dei dintorni di Roma; poi si formava una processione accompagnata con stornelli inneggianti a Sant’Antonio “Salutamo corfischietto/sant’Antonio benedetto/trullalero, trullalà/ tutti quanti a sfravolà” che percorreva vicoli e piazze.

Ma la festa poteva considerasi anche la Domenica e nel secolo XIX quando splendeva il sole i vasti prati dell’Orto Botanico, chiamato anche “Villa pover uomini”, si animavano di allegre comitive di popolani che vi trascorrevano l’intera giornata giocando a carte, a tombola, all’altalena – in romanesco “canofiena” che spesso si trovava appesa agli archivolti dei portoni delle case di Trastevere – ai quattro cantoni, a gatta cieca. I venditori ambulanti andavano in giro vendendo nocchie, rosicarelle, ceci, spassatempo, bruscolini, uova sode, fusaje “guainelle”, castagnole e succhia-miele. Il pomeriggio dopo la colazione sull’erba si ballava al suono delle chitarre del mandolino, del colascione, dei cembali e delle nacchere la tarantella, il saltarello saltato e figurato che si eseguiva a due o anche in quattro.

Non posso non fare poi accenno ad una festa quella di San Giovanni celebratissima in tutti luoghi d’Italia ma che a Roma come le altre, assume una ricchezza esclusiva; coincidente con il solstizio d’estate nella notte tra il 23 ed il 24 giugno come alcune cronache del XVIII secolo raccontano, le streghe dirette al Sabba presso il noce di Benevento sorvolavano la città nella zona circostante la Basilica di San Giovanni in Laterano.

I romani partecipavano prima alle funzioni religiose i Vespri della Vigilia che aprivano la Festa due ore prima dell’Ave Maria; ma già un’ora prima dei Vespri la folla riempiva la Basilica, il cui pavimento era addobbato con un fragrante tappeto di frutta, erbe e fiori tra i quali spiccavano i garofani rossi e la spighetta, al centro, solo con i petali dei fiori, vi era la raffigurazione del Santo; sull’altare, raccolti sotto un prezioso tronetto di cristallo di rocca sormontato da una scultura in argento del Santo, stavano i caryophylla i chiodi di garofano chiusi in piccoli sacchetti di seta bianca. Nel corso della celebrazione venivano benedetti e distribuiti ai fedeli per la loro salute spirituale e corporale e perché venissero portati agli infermi ed alle donne in gravidanza. La fine dei Vespri era segnalata dal rintocco delle campane, dal tuonare delle artiglierie di Castel Sant’Angelo che annunciavano la fine del digiuno visto che la festività di San Giovanni era festa di Precetto e bisognava osservare strettamente l’astinenza.

Terminata la cerimonia religiosa, la folla si distribuiva all’esterno sulla piazza e sui prati circostanti la Basilica, tutto era già pronto per i festeggiamenti profani: i falò accesi che ardevano per tutta la notte e che simboleggiando la purificazione dovevano essere saltati; la piazza illuminata da fiaccole e lampioncini veniva attrezzata con lunghe tavole che servivano alla cena che ognuno portava con sé arricchita per l’occasione con il piatto tipico le lumache al sugo. Questi molluschi con le loro corna simboleggiavano la discordia ed i contrasti e venivano mangiati in occasione della festa affinchè, in senso apotropaico, tutte le discordie venissero appianate.

Le danze costituivano un elemento importante della festa, si ha testimonianza dallo storico della musica Marcello Cofini, che nel 1374 a Metz esisteva un ballo simile alla tarantella romana chiamato appunto “danza di San Giovanni”; le donne danzavano al suono di un tamburello la “cunnola” ed è importante ricordare che ad esse, in questo giorno, era proibito entrare in Basilica in quanto il martirio del Santo era stato causato da una donna Erodiade, pertanto erano ammesse solo alla partecipazione nell’aspetto profano della festa.

Sempre nella notte, venivano aperti i bagni pubblici sul Tevere poiché San Giovanni Battista protettore delle acque vi infondeva misteriose virtù, e già dal pomeriggio nella piazza antistante la Basilica si teneva un grande mercato di erbe agli, cipolle, spighetta, mentuccia ed altre erbe riconducibili al Santo.

Con il tempo si aggiunsero altre manifestazioni di festeggiamento come un concorso canoro, il primo nel 1891 che stabilendo un’audizione sulla terrazza dell’osteria “Faccia Fresca” vide aggiudicato il primo premio a Leopoldo Fregoli con la canzone “Le Streghe” di Nino Ilari. Ancora più avanti negli anni si aggiunsero i Carri di San Giovanni che addobbati con scenografie, orchestre e cantanti attraversavano Roma in corteo per arrivare alla Basilica tra balconi e strade illuminate da lampioncini.

La sera della Festa la maggior parte della popolazione mangiava sui prati e nel segno del divertimento si riempivano le osterie più note della zona: del “Cocchio”, di “Faccia Fresca” di “Baldinotti” “dell’Impero”, delle “Streghe”.

Ma la festa di San Giovanni a Roma era anche quella delle comparante, nella quale si stabilivano i compari nei prossimi matrimoni ed i padrini nei battesimi stabilendo legami vincolanti tra le famiglie. Sempre in quella occasione si racconta che l’aspirante fidanzato durante la cena offriva alla prescelta un mazzolino di fiori dichiarandosi così a tutto il parentado, in caso di accettazione la ragazza doveva contraccambiare il mazzolino entro pochi giorni e precisamente entro la festività di San Pietro. E come sopra abbiamo accennato in quella notte i romani si incontravano e passavano la notte davanti la Basilica per veder passare in volo le Streghe; dai racconti dello Zanazzo si legge: “ Pè scongiuralle bbastava de tiene’ uno scopijo, un capodajo e la spighetta cor garofoletto”

In quella sera però i romani prima di recarsi alla Festa pensavano a lasciare protette dalle Streghe le proprie case mettendo in atto tutte le scaramanzie conosciute: acqua benedetta, sale versato sulla soglia, scope incrociate dietro la porta e un setaccio nella cappa del camino, poichè la Strega prima di entrare avrebbe dovuto perdere tempo tutta la notte per superare gli ostacoli rischiando di vedere sorgere l’aurora e mancare all’appuntamento annuale al Noce di Benevento.

Tutto questo ed altro il nostro Museo racconta attraverso i libri della Biblioteca, le Stampe antiche, gli oggetti, le foto e tutte le sue preziose fonti.

 

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