Criminologia

EDUCAZIONE E ALTERITA’ PER LA FINE DEL FEMMINICIDIO

L’amore non sempre è eterno…basta saperlo!

Gli omicidi suicidi di uomini che uccidono donne, negli ultimi tempi godono di maggiore visibilità rispetto al passato, anche se le statistiche non ci confermano un importante aumento di tali delitti rispetto agli anni precedenti.

La reiterazione di questo tipo di reati (gravissimi e di alto impatto sociale), al di la delle note problematiche di natura giudiziaria, è forse anche frutto di retaggi culturali e potrebbe essere analizzata osservando i problemi del rapporto logico fra l’identità e l’alterità, fra l’identità e la contraddizione, fra l’affermazione e la negazione, che ancor oggi costituiscono il tema della dialettica introspettiva dell’uomo.

Filosofia a parte, credo sia utile osservare in macro il fenomeno, che i media ci hanno indotto a chiamare femminicidio (termine tra l’altro che rende perfettamente l’idea), al fine di estrapolarne delle riflessioni dalle quali meglio comprendere l’evoluzione odierna dell’io e del sé maschile.

Con immodestia e machiavellico osare, provo a pensare ad alta voce per mettere insieme le idee: in psicologia, leggo che l’Io rappresenta una struttura psichica – deputata al contatto e ai rapporti con la realtà, sia interna sia esterna. L’Io quindi organizza e gestisce gli stimoli ambientali, le relazioni oggettuali ed è il principale mediatore della consapevolezza. Mentre il Sé spiega la persona nella sua totalità rispetto all’ambiente, l’Io, inscritto nel Sé, è la struttura che percepisce se stessa ed entra in relazione con altre persone (con il “loro” Io), distinguendole come “non-Io”. C’è poi l’Ego, che non è altro che una forma primitiva di Io, così come si può notare nel bambino, orientato all’affermazione di sé e al potere. Vale allora quel che affermava Einstein: il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall’Ego. Ovvero in quale misura si è lasciato alle spalle l’Ego ed è divenuto un Io adulto e consapevole[1].

La società, dalla metà del secolo scorso, è cambiata radicalmente, facendo un felino sbalzo avanti tanto da non poter utilizzare nessun parametro di paragone con quella dei nostri nonni. La medicina ci permette di vivere quasi il doppio dei nostri avi e per questo molte istituzioni, convenzioni, affermazioni, abitudini e consuetudini di vita, si da per scontato che siano state riviste da tutti!

Le aspettative di vita di un essere umano, in passato, erano in linea di massima assestate intorno ai cinquant’anni, il che la dice lunga sul modo di osservare il futuro e di percepire alcune abitudini di vita delle vecchie generazioni.

Il ruolo della donna, almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale (ma direi fino agli anni settanta), era circoscritto (purtroppo) al talamo, per dirla con il linguaggio letterario o poetico o a quello che si poteva definire “fare gli onori di casa” a qualche ospite in alcune abitazioni signorili, insomma ruoli ingiustamente inferiori, che esaltavano e confermavano l’assunto del possesso da parte del marito o dell’uomo in genere e impedivano al non a caso definito, “gentil sesso”, di vivere a pieno titolo il suo legittimo status.

La donna, dal canto suo, prima di iniziare le giuste battaglie che l’hanno portata a rientrare di diritto al suo meritato posto paritario con gli uomini, ha per un periodo che definirei storico, subito questa posizione sociale, che la vedeva ingiustamente relegata in uno status nettamente inferiore.

In ogni caso, le minime aspettative di vita degli esseri umani prima dell’avvento della medicina evoluta e l’antropologica posizione d’inferiorità della donna, hanno forse contribuito per un lungo periodo della storia della società moderna, a diffondere in maniera errata (subire/sognare) il sogno dell’amore eterno, perché l’eternità era quasi sempre racchiusa in quei venti-trenta anni di matrimonio da condividere prima della inevitabile fine della vita.

Grazie soprattutto alla scienza e alla sociologia, le cose sono cambiate e le aspettative di vita sono raddoppiate ma lo stereotipo dell’amore eterno è rimasto imperante nelle formule dei riti matrimoniali religiosi e nei vari talk show televisivi, contribuendo, a mio avviso, all’esaltazione di alcune menti deboli, che non riescono ad accettare le separazioni, intendendo con questo termine, ogni tipo di fine rapporto tra due persone.

Le donne sono adesso inserite nella società al pari degli uomini, anche se ancora vittime della segregazione orizzontale e del soffitto di cristallo, così com’è rappresentata quella difficoltà di arrivare a livelli dirigenziali nelle carriere. I rapporti di lavoro, la maggiore disponibilità di tempo libero e la libertà da quegli assurdi vincoli imposti dalla precedente società, hanno inevitabilmente cambiato le dinamiche della vita di coppia.

Oggi nascono e terminano migliaia di relazioni al giorno. Anche nella nostra bella Italia, il matrimonio, come istituzione o come investimento a vita, risulta fallimentare.

Non si può competere con la società attuale, globalizzata e frenetica con l’assoluta convinzione che un’unione durerà per sempre…

Ben vengano le (ormai rarissime) coppie storiche che riescono a rimanere unite per tutta la vita, salvo ipocrisie e gestioni multiple delle relazioni cosiddette extraconiugali, ma la realtà è un’altra: le coppie sono unite, spesso, finché “Giudice” non le separi…

Alcuni uomini non riescono ad accettare questa verità, continuano a percepire una separazione come un abbandono, uno sgarbo, una sconfitta personale, qualcosa da dover vendicare, per dimostrare (a chi?) che l’onore è salvo o è da salvare…

Da qui allo stalking, il passaggio è breve e per il femminicidio la strada è aperta.

Lo stalking, come spesso si legge da quando si parla di questo fenomeno, non è da addebitare a patologie mentali ma spesso a disturbi della personalità e quindi il fenomeno può derivare da contesti particolari, anche culturali.

A questo punto, come per mille altre problematiche sociali affrontate in questi ultimi anni, credo che l’informazione e la formazione delle persone, nonché l’educazione dei giovani uomini, sia fondamentale per ottenere adulti socialmente inseriti e soprattutto fidanzati, mariti, compagni e padri consapevoli e maturi.

La società italiana, o meglio la componente umana della stessa, ha forse più difficoltà di altri paesi europei di adeguarsi alle moderne regole, per via di un atavico senso dell’onore, intrinseco nella figura dell’uomo latino, che da quando è nata la televisione, è stato amplificato anche se a volte solo in chiave autoironica. Questo, ha avuto spesso l’effetto di diffondere una tipica e tipicizzante mentalità patriarcale, esaltando in negativo il ruolo della donna e la conseguente necessità di difendere l’onore maschile.

Bisognerebbe invece imparare ad accettare la natura dell’umanità, rendersi conto tutti, che siamo individui e come tali siamo destinati a difendere solo la nostra unicità, rispettando tutte le altre persone, accettando la fine di ogni rapporto come il naturale temine di un’esperienza, senza cedere alla tentazione delle convenzioni, degli stereotipi pericolosamente travestiti da tradizioni…

In tutti i paesi europei, si consolida l’idea di coppia come unione tra due persone, anche di sesso uguale, questo stravolge il concetto antico di legame e di conseguenza annulla lo stupido e inutile (e dannoso) alibi dell’onore.

Educhiamo i nostri figli, a casa e nelle scuole, ad avere rispetto per il prossimo e a pensare all’amore, come quel sentimento che unisce due persone per un periodo non noto e non preventivabile ma non per questo meno importante dell’amore eterno o prodromico di tendenza a minore rispetto per se stessi e per il compagno/a.

Non sono contro il matrimonio ma lo osservo e lo valuto con la maturità dei miei anni e con l’esperienza diretta sul campo tra centinaia di situazioni di conflitti tra coniugi, maturata nel mio percorso professionale. Credo quindi che vada sempre distinta la parte istituzionale del termine, da quella affettiva, senza necessariamente confondere un contratto con un sentimento. Entrambi possono cessare con gli stessi effetti ma con modalità e spesso con epiloghi diversi.

Siamo tutti responsabili del femminicidio, con i nostri silenzi, il nostro sottovalutare le richieste di aiuto a volte silenziose. Torniamo a concentrarci sul valore dell’altro, a riconoscere in ognuno “la persona” e per questo riconoscerci anche noi nell’altro, in un virtuoso circolo di solidarietà che scopriremo essere contagioso e assolutamente efficace!

Un uomo o una donna, consapevoli di questo e perfettamente inseriti in una società già definita “liquida”, difficilmente potranno trasformarsi in stalker godendosi invece (anche più volte) una delle poche cose belle della vita che è l’Amore!



[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Io_(psicologia)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Francesco Caccetta

Criminologo; Ufficiale R.Str.E. dei Carabinieri; Laureato con lode in Laurea Magistrale in Ricerca Sociale per la sicurezza interna ed esterna, Laureato con lode in Scienze per l’investigazione e la Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della consulenza peritale. Autore del libro sul Controllo del Vicinato "L'occasione fa bene al ladro".

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Check Also
Chiudi
Pulsante per tornare all'inizio