Criminologia

Fiabe antiche e significati attuali: Barbablù di Charles Perrault, galantuomo dei giorni nostri.

Vengono donne da me a parlare delle loro ferite. Ferite visibili sul loro corpo, altre, altrettanto ben visibili, scolpite nella loro anima. Le loro storie si somigliano e cominciano, quasi tutte, allo stesso modo: “all’inizio sembrava un uomo per bene, così gentile”.

Questo scenario mi rimanda al significato simbolico della Fiaba di Barbablù e della fanciulla dalla psiche ancora tanto ingenua ed assopita da non accorgersi di quel particolare evidente, insolito: una “barba-blu”. La giovane donna della storia -giovane per età o per esperienza o per immaturità psichica- costretta a rimanere rinchiusa in casa, a non esplorare la vita, a non cercare e a non trovare risposte, a “non aprire quella stanza segreta del palazzo”, continuava a vivere avvolta da un velo fittizio che celava e mistificava una sana percezione obiettiva e impediva che la realtà le mostrasse la sua vera natura. Nel bene e nel male.

Come disse Robert Oxton Bolt “Una convinzione non è solo un’idea che la mente possiede, è un’idea che possiede la mente”. E ben sappiamo quanto idee e pensieri possano rappresentare feroci gabbie mentali col potere di imbrigliare molto a lungo una psiche.

Non poter avere occhi per ritagliare dalla realtà un significato oggettivo, è il primo passo verso l’annullamento di sé stessi. Il più feroce dei predatori nella nostra società, si può trovare tra le strutture portanti della nostra cultura: nella dimensione del pensiero e dei significati.

Pensiero che si traduce in valori, ideologie, legislatura, identità culturale.

Nella fiaba, Barbablù è un terribile carnefice e il suo particolare insolito è subito rivelato dall’autore della storia, eppure nessuno lo nota. Interessanti i personaggi della madre e delle sorelle della protagonista che, quali relazioni significative, contro ogni atteggiamento prevedibile ed ortodosso, non intervengono scuotendo e mettendo in allerta la consapevolezza della giovane donna, piuttosto, si mostrano accondiscendenti. 

Ciò che emerge è l’atteggiamento insensibile di fronte a quanto c’è di temibile, rovinoso, orribile: quadro di una psiche anestetizzata e di una coscienza collettiva assopita e non curante.

Ed il passo dalla  “normalizzazione” dell’orrore all’ accoglimento ed al consenso dello stesso, è solennemente breve e grave.

La struttura di personalità della protagonista non è ben centrata e il processo di costruzione della stessa, anziché, essere sostenuto e incoraggiato da un contesto sano ed integro, viene boicottato da una linfa insidiosa che nutre la donna e l’accompagna all’interno di un percorso di accettazione e tolleranza del dolore e di quanto possa essere nocivo per la sua incolumità e crescita personale.

Così il vero primo predatore della fiaba, si annida sia tra i meandri della psiche femminile, non permettendole di notare i carnefici presenti nella propria vita, sia tra le reti di un contesto di contorno che ne facilita e ne sostiene il processo.

Ma il significato della “linfa oltraggiosa” che nutre per demolire e separare dall’integrità, non appartiene solo a un’antica storia da raccontare attorno ad un fuoco. Essa è ben rintracciabile tra le maglie delle nostra identità culturale e legislativa. 

Per affermarlo basta volgere lo sguardo ai fatti di cronaca attuale ed a provvedimenti legislativi recentissimi.

Nel nostro paese, giustappunto per mostrare qualche esempio e tracciare una biografia giuridica dalla matrice decisamente oltraggiosa, basta riferirci alla legge n.66 del febbraio 1996, data in cui viene approvata la riforma dei reati in materia di violenza sessuale. La prima giovanissima e significativa innovazione che sancisce la violenza sessuale quale reato contro la persona e non contro la morale pubblica ed il buon costume.

Solo pochi giorni prima del 15 febbraio 1996 la violenza sessuale era ritenuta reato contro la morale! Nessuna centralità per il dolore della vittima, anzi, la vittima quale persona,e la sua dilaniata integrità fisica e psichica, non veniva neppure menzionata. Nessuno accenno al suo dolore, alle sue lacrime, al suo sangue, alla sua vita stravolta per sempre.

 No. Solo oltraggio al buon costume. 

Come se per la nostra “cultura” fosse semplicemente sconveniente parlare di stupri e vite violate.

Per non parlare del reato di stalking (atti persecutori art. 612 bis c.p.) che si definisce quale reato solo nel recentissimo 2009 o della convenzione di Istanbul sottoscritta il 15 maggio 2011 e ratificata in Italia con effetto solo dal recentissimo 16 luglio 2013.

E seppure qualche spiraglio riguardo la centralità della vittima comincia a ritagliarsi tra le pagine del codice penale, i provvedimenti, a tutela di chi subisce abusi e persecuzioni, rimangono interventi  fin troppo inconsistenti e derisori rispetto al valore violato.

La nostra realtà supera per orrore persino il più terrificante scenario fiabesco. 

Nella fiaba, infatti, il senso del lieto fine rimette apposto tutti i significati e con prontezza ripropone un ordine morale, così l’orribile assassino Barbablù soccombe. La nostra realtà, invece, permette a chi ha inferto sedici coltellate alla sua ex fidanzata, di scontare una pena -se così vogliamo ostinarci a chiamarla- di soli sette mesi di carcere per proseguire agli arresti domiciliari in quanto individuo non ritenuto pericoloso. Del resto la gente del luogo e la magistratura, nonostante tutto, considera l’artefice del reato pur sempre un”uomo per bene”, condannando piuttosto la vittima, salva per miracolo, a vivere sotto scorta ed a rinunciare alla sua di libertà.

La nostra realtà è la culla dei significati capovolti, quella di un mondo al contrario, giusto per dirlo con le parole di una fiaba, dove il primo imputato -assolto- è la nostra cultura. 

Il carnefice possiede una evidente Barbablù. E nessuno la vede.

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