Criminologia

L’Italia e i crimini dei colletti bianchi

Lo “scandalo della Monte dei Paschi” è solo l’ultimo esempio di una serie di reati in ambito economico che hanno riguardato il nostro stato. La Penisola vanta già dalla fine dell’800 un cattivo esempio in materia con gli abusi della Banca Romana, dove l’instabilità del sistema creditizio era dovuta agli ingenti prestiti elargiti. Alla Banca Romana ha fatto seguito il Banco Ambrosiano e poi ancora la Banca Privata Finanziaria. Da Giolitti (poi dimessosi per lo scandalo della Banca Romana) a Calvi e poi Sindona senza dimenticare i casi di politici come Luigi Lusi, Francesco Belsito e Franco Fiorito. In Italia affiorano i crimini dei colletti bianchi.

“Nella mancanza di scrupoli con cui piega beni e persone ai propri scopi, nell’impassibile noncuranza per i sentimenti e i desideri altrui e per le conseguenze ultime delle proprie azioni, il tipico uomo pecuniario assomiglia al tipico delinquente; rispetto a quest’ultimo, tuttavia egli possiede un più acuto senso di classe e una maggiore lungimiranza che gli consente di perseguire mete più lontane”.  Thorstein Veblen

Con “crimine di un colletto bianco” intendiamo approssimativamente il reato commesso da una persona rispettabile e di elevata condizione sociale nel corso della sua occupazione. L’aspetto significativo del crimine dei colletti bianchi è che esso non risulta associato alla povertà o alle patologie personali sociali e personali che lo accompagnano. I crimini dei colletti bianchi colpiscono una o più delle seguenti categorie di vittime: consumatori, concorrenti, azionisti e altri investitori, inventori, dipendenti; tra le vittime figura anche lo stato, leso dalle frodi fiscali e dalle corruzioni dei pubblici funzionari. Questi reati non sono semplici violazioni di norme tecniche ma comportamenti premeditati relativamente unitari e coerenti.

Il “crimine dei colletti bianchi” e il comune “furto professionale” hanno somiglianze ma soprattutto importanti differenze. Le più indicative riguardano il concetto che il reo ha di se stesso e l’opinione che la collettività ha di lui. Il ladro professionale si considera un criminale e non diverso è il giudizio della comunità nei suoi confronti. Non avendo alcuna aspirazione a godere di una buona reputazione sociale, egli va fiero della propria fama di criminale. L’uomo d’affari, viceversa, si considera un cittadino rispettabile e, nel complesso, questa è anche l’opinione della pluralità; anche quando viola la legge, l’imprenditore non si considera un criminale. L’opinione che il reo ha di se stesso costituisce un importante problema criminologico. 

Il primo a riporre attenzione su tal tema fu il sociologo Edwin H. Sutherland, in un’occasione alquanto particolare, ossia durante il discorso presidenziale da lui tenuto nel 1939 alla società americana di sociologia. Sutherland passò dettagliatamente in rassegna i reati commessi dalle imprese finendo poi col dire che si trattava di comportamenti non molto diversi da crimini comuni quali i furti e le rapine sicuramente più famosi agli occhi della collettività. Secondo il sociologo suddetto, molte condotte devianti e illegali dei colletti bianchi, sono ignorate o trattate con ingiustificata indulgenza perché i soggetti chiamati ad applicare la normativa contro i crimini spesso appartengono alla medesima classe sociale dei rei e in qualche caso si erano resi autori delle stesse o di analoghe forme di comportamento illecito. Sutherland pose l’accento anche sulla dannosità del crimine dei colletti bianchi. Un reato comune tende a unire la comunità: la gente esprime un compatto disprezzo nei confronti dei criminali comuni e del crimine comune, ne trae conferma del proprio senso di superiorità, grazie anche alla vivida descrizione fornita dai mass media, delle conseguenze infamanti e delle condanne a pene detentive cui spesso vengono assoggettate. Differente invece il discorso per i crimini dei colletti bianchi, questi hanno meno visibilità sui mass media e di conseguenza generano meno sdegno da parte della gente comune, ma le conseguenze di un crimine effettuato da un colletto bianco possono essere ben più dannose rispetto a un reato da strada. C’è più gente mutilata o uccisa da interventi chirurgici superflui compiuti da medici a solo scopo di lucro, che non da lesioni o omicidi a sangue freddo. Quelli dei colletti bianchi sono per Sutherland i crimini veramente pericolosi.

Sutherland coniò il termine “white collar crime”, nello sforzo originale di identificare in modo unitario gli illeciti commessi anche in campo economico, politico e professionale. La crescente preoccupazione della collettività per il crimine dei colletti bianchi è senza dubbio espressione della consapevolezza più diffusa degli enormi pericoli ai quali possiamo andare incontro in seguito alle ruberie di soggetti che occupano posizione di potere. A differenza di quanto accade per i “criminali comuni” le vittime di illeciti dei colletti bianchi spesso non si rendono conto del danno subito. Viene in genere data poca importanza al consumarsi di profitti illegali di scarsa entità, sono profitti irrisori che si verificano però in larga scala e sono molto più remunerativi delle generiche rapine a mano armata. Normalmente non sono tormentati da scrupoli di coscienza in quanto, nel commettere gli atti illeciti, godono dell’appoggio del loro ambiente e per di più, non ledono direttamente un altro individuo. Nel reato del colletto bianco non c’è il face to face che un rapinatore può avere con un povero malcapitato. Al colletto bianco risulta meno facile redimersi o non affrontare un azione deviante poiché lui lede, muovendosi nella falde burocratiche e nei sentieri contorti economici; non trova di fronte a se un uomo del quale spiacersi, ma spesso dei dati, delle informazioni. La complessità dei comportamenti e l’ampia diffusione nello spazio e nel tempo degli effetti delle azioni dei colletti bianchi, facilitano la possibilità di tenere nascoste le malefatte. I consumatori, insoddisfatti del prezzo di un prodotto possono ignorare per molti anni che esso è stato artificiosamente fissato per mezzo di accordi tra gli industriali. Prima che siano eseguite prove scientifiche sulla merce venduta, i clienti non sono in grado di rendersi conto del carattere fraudolento di un’etichetta o di un annuncio pubblicitario.

Sutherland è riuscito a descrivere nel suo libro “Il crimine dei colletti bianchi”, con dovizia e vigore, con ricchezza di dati e stringenti argomentazioni, gli illeciti commessi da imprese e da soggetti appartenenti agli strati superiori della società. Esso ridimensiona le teorie del comportamento criminale, che spiegano la delinquenza sulla base di fattori tra i quali la disgregazione familiare, dimostrando come gli autori dei reati, presi in considerazione nello studio, avessero ricevuto l’educazione migliore, beneficiando di privilegi e ricchezze. Nessuno di essi soffriva di complessi di Edipo irrisolti o delle frustrazioni per la disciplina delle funzioni corporee impostagli da bambino. Eppure non si poteva negare che essi fossero dei lestofanti, autori di alcuni tra i più ignobili e nocivi comportamenti riscontrabili nell’epoca contemporanea.

“Ma io non sono veramente un criminale!” 

Frase tipica del colletto bianco quando realizza che sta per essere arrestato.

FABIO CARROZZO

Note:

-EDWIN H. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi. La versione integrale, Giuffrè editore, 1987.

-CHARLES WRIGHT MILLS, Colletti bianchi, Torino, Edizioni di comunità, 2001.

– GREEN STUART P., I crimini dei colletti bianchi. Mentire e rubare tra diritto e morale, Milano, Università Bocconi Editore, 2008.

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Check Also
Chiudi
Pulsante per tornare all'inizio