Comunicazione

“Some people say” – una tecnica giornalistica

“Some people say…” la locuzione più utilizzata quando si vogliono fare domande scomode, domande che nessuno avrebbe il coraggio di porre a proprio nome, ma che in qualche modo devono essere somministrate. Molti giornalisti nel mondo utilizzano questa formula che in italiano significa “Alcuni dicono…” ma chi sono questi che parlano? Finché viene usata dai giornalisti per portare avanti importanti indagini e con la finalità di ricevere quella dichiarazione che tanto gioverebbe ad una libera informazione, siamo tutti contenti; quando si utilizza lo stesso “gioco di parole” per giustificare azioni politiche o scelte mosse dai propri sentimenti più che dal “sentire comune” allora è doveroso specificare chi siano questi “alcuni”.  

Allegato a questo articolo è possibile visionare un video di breve durata che riporta questa tecnica applicata da un’emittente televisiva di fama internazionale, mettendo insieme i vari ritagli ripresi da diversi servizi e trasmissioni. Affermare “alcuni dicono che…” soprattutto in diretta televisiva o streaming, porta subito l’intervistato a dover rispondere su temi scottanti, a cui mai avrebbe risposto se le domande fossero state pianificate prima, ma che sparati a bruciapelo mentre gli spettatori sono all’ascolto, non possono essere ignorate… considerando che ad oggi tutto viene registrato e molto spesso spezzoni in stile Blob, vengono pubblicati in rete, fare un passo falso – di una certa gravità – significa giocarsi la propria reputazione professionale, raggiunta con anni di sacrifici e persa in pochi secondi. La rete non perdona, e oltre ad agevolare la diffusione della notizia, velocizzandone la propagazione (in pochi secondi ha già fatto il giro del mondo n volte), va a murare un mattoncino che andrà a comporre i murales della web reputation dell’interessato. 

Quando si parla di tecnica giornalistica, saltano subito alla mente le famose 5 dabliu “who, what, when, where, why” ovvero “chi, cosa, quando, dove, perché”. Quando nel video allegato si dice: “Alcuni dicono che” ci si sta sollevando dalle responsabilità omettendo anche la tracciabilità della relativa fonte. La frase “Alcuni dicono che” non ci dice ne il nome del soggetto che ha espresso il punto di vista, ne il numero di persone che ha espresso il parere e neanche il sesso della persona che ha espresso il punto di vista.

La frase “some people say” – a volte contratta nella forma “some say” – non significa assolutamente nulla. Il fatto che la “Fox News” utilizza questa formula dovrebbe far spegnere a tutti il televisore e invitare a cercare altrove per conoscere la verità.

Di questa tecnica giornalista parla anche un ingegnere dell’Arkansas che ai lettori pone questa domanda:”Have you ever wondered why news is called television programming?” E proprio come direbbe il buon Marzullo “oltre a farsi una domanda si da anche una risposta”:”I think it’s because the media corporations are trying to program you”. Traducendo in italiano la domanda è:”Vi siete mai chiesti perché lo spazio delle notizie si chiama programmazione televisiva?” La risposta è:”Penso che sia perché le corporazioni dei media stanno cercando di programmare te”.

“Some say” non è l’unico trucco di cui si avvalgono i media: un suo simile è “Officials say” ovvero “i funzionari dicono”. Chi sono i funzionari? Sono quelle le persone misteriose che stanno dietro il sipario spingendo i pulsanti? Se sono così ufficiali, non meritano il rispetto di dire il loro nome, o almeno dare il loro titolo d’affari? Se si sente “i funzionari dicono”, allora non c’è responsabilità e tutto il pezzo della notizia deve essere eliminata. Non vi è alcuna credibilità per un programma di notizie, se non vengono citate le relative fonti (il gioco della privacy viene spesso abusato in questi casi).

Insomma sembrerebbe che ai telegiornali, e a tutti gli altri tipi di realtà che dovrebbero “fare informazione”, non importi nulla circa la realtà dei fatti (vedasi anche il libro “La scomparsa dei fatti – Si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni” scritto da Marco Travaglio edizioni Il Saggiatore del 2006) e della relativa rappresentazione della verità. Earl, questo il nome dell’ingegnere già citato prima, scrive:”Hanno un ordine del giorno. Vogliono programmare te e me. In particolare, vogliono convincere te, un contribuente, ad accettare le spese di un grande biglietto, come la guerra. (La guerra è un business molto redditizio per molte aziende). Non siamo computer e siamo in grado di pensare per noi stessi. Pensate a voi stessi. Ho spento il programma e ora sono libero. Spegnere Fox News è liberarsi […]”.

Trovare le notizie da una fonte attendibile – di cui ci si può fidare – sarebbe l’ideale, anche se non affatto semplice. Cercare di osservare anziché accontentarsi di vedere, già sarebbe un piccolo passo in avanti per migliorare la qualità dell’informazione. Nessuna arma potrà essere più forte della cultura e della conoscenza: la rete è uno strumento micidiale se utilizzata correttamente.

 

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