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I MINATORI DI CASTELVECCHIO SUBEQUO CHE HANNO RICOSTRUITO L’ITALIA

Un racconto di dolore, sacrificio e memoria

La mattina dell’8 agosto 1956, un fumo nero e tossico si levò dalla miniera di carbone di Bois du Cazier, a Marcinelle, in Belgio. Un incendio, scoppiato a più di mille metri sotto terra, trasformò in trappola mortale quei cunicoli scavati nel ventre della terra. In quell’inferno persero la vita 262 persone. Di queste, 136 erano italiani. Erano ragazzi, uomini nel fiore degli anni, figli di un’Italia piegata dalla guerra, partiti con la speranza di un futuro migliore.

Il governo italiano li aveva mandati all’estero, cedendo forza lavoro in cambio di carbone, il combustibile essenziale per alimentare la ricostruzione dell’Italia del dopoguerra. In cambio di quel carbone, il nostro Paese consegnava i suoi figli, mandandoli a vivere e morire sotto terra, in condizioni disumane.

Erano trattati come bestie, costretti a lavorare per ore in ambienti saturi di polvere, fumo e sudore, in cambio di un salario che spesso bastava appena a sfamare la famiglia lasciata a casa. Vivevano isolati, lontani dai propri affetti, spesso emarginati, sempre dimenticati. Eppure, senza la loro fatica, senza la loro morte silenziosa, l’Italia non si sarebbe rialzata.

Ogni anno, il 9 agosto, nel piccolo borgo abruzzese di Castelvecchio Subequo, la memoria si fa carne e dolore. Qui si celebra la Giornata del Minatore, per non dimenticare quegli uomini che hanno dato tutto — letteralmente tutto — per un domani che loro stessi non avrebbero mai visto.

Castelvecchio Subequo ha dato alla miniera molti dei suoi figli. Alcuni morirono a Marcinelle, altri in miniere sparse per l’Europa, altri ancora nelle viscere d’Italia, costruendo gallerie stradali, scavando chilometri di roccia con mani callose e fiato corto. Tante delle grandi opere infrastrutturali del nostro Paese sono nate grazie alla fatica e al sudore dei minatori di Castelvecchio.

E tanti, troppi, sono i giovani che non sono mai tornati.

La memoria di queste vite spezzate è stata custodita, protetta e raccontata per anni dallo storico Francesco Olivieri, figura fondamentale per la storia del paese e per la dignità di questi lavoratori. Olivieri ha dedicato la sua vita a documentare il sacrificio dei minatori, portando alla luce testimonianze, nomi, storie dimenticate. Ha raccontato l’impresa quasi epica di alcuni minatori del paese, che nel 1935 stabilirono un incredibile record di avanzamento in galleria, una testimonianza di abilità, resistenza e determinazione.

Non si trattava solo di lavoro. Era sopravvivenza. Era amore per la famiglia. Era la lotta per un futuro che valesse la pena di vivere.

Oggi, in un’epoca di benessere e di comodità, dove spesso si dà tutto per scontato, abbiamo il dovere morale di ricordare. Quei minatori non sono semplici nomi su una lapide. Sono i mattoni su cui si è costruita l’Italia moderna.

Senza il loro sacrificio, non ci sarebbe stata luce.

Ricordare è il minimo. Onorare è un dovere.
Perché i minatori di Castelvecchio, e tutti i minatori d’Italia, sono eroi silenziosi. Eroi veri.

Sergio Giangregorio

Direttore Responsabile magazine online Convincere. Laureato in scienze politiche e relazioni internazionali. Perfezionato presso L’Università degli Studi Roma 3 in “Modelli Speculativi e ricerche educative nell’interazione multimediale di primo e secondo livello“ Docente universitario a contratto in materie investigative con specifico expertise sulla sicurezza in aree urbane, sulle tecniche di intelligence e di peacekeeping. Esperto di comunicazione in situazioni estreme. Giornalista investigativo ed analista di intelligence, come Ghost writer ha elaborato numerosi studi strategici coprendo tutti i teatri di guerra dai balcani, al vicino oriente seguendo i conflitti in Afganistan, Iraq e nel nord-Africa. Presidente del Centro Europeo Orientamento e Studi – Ente morale di diritto privato per la difesa dei diritti civili. Direttore Scientifico dell'Istituto di Ricerca sui rischi geopolitici Triage Duepuntozero.

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