Indifferenza e Metropoli

Quando per capire l’oggi basta guardare indietro
Indifferenza e metropoli godono oggi più che mai di uno stretto legame, ne sentiamo parlare in tv o alla radio, tra titoli altisonanti e apocalittiche indagini campionarie. Ma che cos’è l’indifferenza? è forse vero che è un prodotto della modernità apparso dal nulla con l’evolversi dei grandi centri urbani?
George Bernard Shaw scriveva “l’indifferenza è il peggior peccato verso i nostri simili… l’essenza dell’inumanità”[1] e come smentirlo?! Shaw scriveva a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento proprio quando le piccole città di provincia si svuotavano sempre più, per andare a nutrire l’insaziabile ventre metropolitano, quando, per riprendere il sociologo Tönnies, i caldi e intimi rapporti primari della gemeinschaft, la comunità, lasciavano spazio ai più anonimi spazi secondarizzati della gesellschaft, la società. Un altro big della sociologia classica Georg Simmel nel 1903 scrivesse un saggio illuminante da questo punto di vista : Le metropoli e la vita dello spirito, un’istantanea a tinte decise della metropoli dell’inizio del secolo, nonché una profetica intuizione della città così come la conosciamo. Caotico mondo fatto di stimoli e luci, dove perdersi è inevitabile, tanta è la mole di lavoro che deve essere elaborata dal nostro cervello. Ed è qui che scatta la molla: l’uomo si irrigidisce, plasma una barriera, l’intelletto che funge da schermo e filtro con la realtà circostante. L’uomo diventa quindi blasé e se vogliamo… indifferente.
La figura del blasé è quanto di più moderno abbia scritto l’autore tedesco in quanto con i suoi tratti sfuggenti e l’animo turbato, bene si adattano alla disillusione che domina l’animo contemporaneo. L’uomo che ha già visto tutto, disincantato passeggia inquieto nella metropoli di ieri come in quella di oggi. Intrappolato in un limbo di apatia vede il mondo che gli scorre a lato, e lui, possibilmente immerso nella musica del suo iPod, cerca quello stimolo nuovo, quella meta forse irraggiungibile ma il cui desiderio e tensione lo fa sentire vagamente vivo.
Non ci sorprendano allora le notizie di cronaca come “muore tra l’indifferenza collettiva” e mi riferisco alla giovane donna morta alla Stazione dell’Anagnina nel 2010 o il turista morto in spiaggia proprio quest’anno, che poi non sono diverse dal caso di C.Susan Genovese, aggredita, accoltellata e stuprata nel Queens nel 1964 tra l’indifferenza della collettività. Bystander Effect lo chiameranno nei 70s Latené e Darley, l’effetto astante che ci fa pensare: “siamo in tanti qui… perché dovrei agire io? Ci penserà qualcun altro!”.
Siamo tutti un po’ blasé, siamo tutti schiavi di una società asservita al denaro e all’apparenza. E si… il denaro il grande oggettivizzatore, quella forza che tutto spiana e tutto pareggia, che fa morire il qualitativo nel mero e freddo quantitativo. “…dire ho visto una bella casa di mattoni rosa, con i gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto non sortisce alcun effetto. Bisogna dire Ho visto una casa da centomila lire”[2] così il piccolo principe descriveva il mondo dei grandi… il mondo del denaro. Il denaro quindi canovaccio dell’esistenza metropolitana modifica anche la stessa attività economica che diventa anonima e orientata al puro guadagno senza scrupoli e le persone vengono lasciate nel perpetuo stato di ansia del diventare une quantitè nègligeable dei poveri falliti non degni di appartenere alla realtà cittadina inn.
Z.Baumann acuto osservatore della società contemporanea dipinge i contorni del cittadino medio che sommati a quelli proposti da Simmel cento anni fa ci fanno riflettere sicuramente sulla nostra condizione: un uomo (o donna) lavoratore incerto, esposto alla natura malvagia e all’implacabile mutevolezza e innovazione dei beni, materiali e immateriali, di cui è consumatore instancabile. Al centro del mirino dei manager del marketing che gli offrono le sue “istanze di liberazione”[3] , feticci e illusioni, come le nuovissime tecnologie del benessere che assaltano il corpo con diete, fitness, cardio ecc. che sono tutt’altro che una valvola di sfogo, sono la cultura dominante che incastrano e dettano leggi marziali irremovibili.
Cosa fare? Come fermarsi un secondo e accostare nella trafficata tangenziale della modernità? La soluzione o meglio ancora il consiglio spassionato arriva dal sociologo Morin che ci parla delle comunità di destino. Ci sprona a cambiare punto di vista, a fare un passetto indietro e comprendere la nostra comune natura umana, instabile, imperfetta, precaria, e proprio per questo bisognosa del sostegno di tutti quanti; in fondo abbiamo avuto esempi terribili e illustri della capacità dell’uomo di uccidere i suoi simili, il pianeta e indirettamente se stesso. Particolare da valutare e punto principale della nostra agenda setting!
Le Comunità di destino ben si affiancano alla figura dell’imagologia altro forte grido del passato che ci spinge a guardare il mondo e soprattutto gli altri, senza pregiudizi, con quel minimo di oggettività che non ci fa scadere in comportamenti razzisti e intollerante, e sforzarci per quanto è possibile to be in their shoes!
Nazareno Maltagliati