Criminologia

CDV Cittadini, forze dell’ordine e amministrazioni: l’insieme è più della somma delle sue parti!

La questione della sicurezza continua a essere al centro delle maggiori polemiche che imperversano ogni giorno sui giornali e specialmente sui social network. I cittadini attaccano le istituzioni accusandole di non dedicare fondi alle politiche di sicurezza, chiedono sempre e di più l’installazione di videocamere di sorveglianza e maggiore presenza di forze dell’ordine a pattugliare i territori. Alcuni si lanciano in altre e più aspre polemiche circa il supposto scarso impegno di Polizie locali, Polizia di Stato e Carabinieri nel controllo del territorio, ipotizzando lassismi o scarsa professionalità. E’ facile leggere sempre più spesso di bande di ladri che razziano interi territori senza, all’apparenza, nessun tipo di ostacolo o opposizione come un antico scenario di leviatana memoria dove imperversa la barbarie e gli uomini sono gli uni contro gli altri privi dell’intervento di alcuna difesa istituzionale. A volte, anche le forze di polizia e le amministrazioni comunali, si lasciano andare a giudizi sui cittadini e sulla loro scarsa partecipazione ai problemi della sicurezza, poiché le persone non sempre percepiscono il concetto di consociativismo, cedendo all’ormai usuale assunto di utenti dello Stato, che deve garantire tutto (poiché paghiamo le tasse…). La riflessione che andrebbe fatta è che tutti potrebbero avere ragione o magari avere tutti torto. Come al solito è una questione di lana caprina e sarebbe più semplice guardare il problema a 360 gradi e cercare soluzioni invece di renderci sempre più vulnerabili cedendo al j’accuse che fa tanto chic e piace ai media ma non apporta vantaggi né alternative allo status quo. Questo succede, anche e soprattutto, quando una società ha raggiunto un livello di congestione dovuta a problemi di instabilità politica interna ed esterna e i buchi da tappare iniziano a essere troppi.

Senza scadere in discorsi politici o populismi, torna utile rifarsi ai sani principi della nostra Costituzione nella quale non mancano importanti riconoscimenti alle libertà individuali e sociali, rafforzate da una tendenza solidaristica di base. E allora ben vengano le spontanee costituzioni in gruppi, di cittadini volenterosi che vogliono contribuire alla difesa dei propri territori, nel rispetto della legge e senza intralciare il lavoro delle forze dell’ordine, né sostituirle con inutili e faticose passeggiate che scimmiottano il lavoro di seri professionisti e mettono in pericolo gli stessi partecipanti. Ben vengano iniziative di Amministrazioni Comunali che offrono ai cittadini la possibilità di intraprendere percorsi guidati di sicurezza partecipata, magari usufruendo di programmi ormai consolidati ed efficaci. Uno di questi, ad esempio, è il Controllo del Vicinato, che offre la possibilità di recuperare la coesione sociale degli abitanti di singoli territori, insegnando loro a eliminare le vulnerabilità ambientali e comportamentali e a saper fare segnalazioni qualificate alle forze dell’ordine. Sono utili tutte le iniziative delle singole forze di polizia e delle polizie locali o municipali, volte a istruire i cittadini sui pericoli delle truffe e/o come prevenire furti e altri reati predatori, ma tutto questo slegato da un filo di unione o da una visione d’insieme delle singole parti potrebbe non dare gli effetti desiderati. Non basta cioè che ogni singolo attore faccia la sua parte, ma serve una visione d’insieme che completi il fenomeno.

In aiuto ci viene la psicologia della gestalt, una delle massime scuole di riferimento per la psicologia del 900. La gestalt, nega l’idea secondo cui i contenuti mentali complessi, derivano dalla somma di elementi semplici. Per fare un esempio, non basta dire che l’acqua è composta da idrogeno e ossigeno poiché l’idea che abbiamo noi dell’acqua e della sua utilità, va al di la di sapere che è composta da H2O. Ciò che è l’acqua per noi, per come la percepiamo e come la viviamo o come essa ci relaziona, certamente non lo scopriamo sapendo che è composta da due elementi chimici. Secondo la psicologia della gestalt, l’insieme definisce le parti che lo compongono, il gioco dialettico delle parti compone l’insieme, l’insieme riflette le parti, le parti riflettono l’insieme (Perussia). L’intero, quindi, è diverso dalla somma delle sue parti o, meglio ancora, la proprietà di una parte, dipende dal tutto nel quale è inserita (Kanizsa).

Comprendere questo, potrebbe essere l’inizio di una società virtuosa, dove ogni singola parte (cittadini, amministrazioni, forze dell’ordine), si va ad inserire in un tutto che comprende e compenetra le altre parti creando ad una visione d’insieme efficace ed efficiente che davvero potrebbe ridurre il fear of crime o almeno rendere più alta la percezione della sicurezza. 

Il controllo del vicinato, tra gli altri scopi impliciti, ha anche quello di rafforzare e ravvivare il rapporto tra cittadini e forze dell’ordine e di conseguenza con le istituzioni in genere, comprese le amministrazioni comunali. In molti paesi europei questo sta avvenendo in maniera spontanea anche grazie alle varie associazioni di Neighbourhood Watch, tra le quali ne spicca una che potrebbe benissimo prospettarsi quale futuro modello italiano di sicurezza partecipata che potrebbe andare al di la della mera prevenzione coinvolgendo i cittadini nel paradigma della sicurezza in maniera proattiva. In Olanda, la polizia di quello stato ha intrapreso da anni un percorso di polizia di prossimità molto particolare.

La Città di Amsterdam vede attivo il progetto Burgernet, con il quale la polizia ha esteso in cooperazione, la sua attività di sorveglianza anche ai cittadini che hanno aderito al progetto, ottenendo un valido ed immediato supporto (inteso come osservazione e segnalazione) sul territorio in caso di verificarsi di reati.

In altre parole, la Community Policing o Polizia di Prossimità, vede un’attiva partecipazione dei cittadini al mantenimento della sicurezza pubblica e un’intensa attività di gestione e coordinamento delle forze in campo da parte della Polizia che istruisce coloro che aderiscono al progetto e li guida passo passo in tutte le attività di monitoraggio e segnalazione degli eventi delittuosi. Un’attività molto proficua e a costo zero che potrebbe essere facilmente attuata anche in Italia, dove, la forza di polizia che strutturalmente ed a livello organizzativo più incarna il modello della Community policing è l’Arma dei carabinieri. In effetti, l’Arma, con i suoi reparti base e cioè le Stazioni, dislocate in modo capillare sul territorio italiano, potrebbe agevolmente operare in un contesto organizzato e strutturato, utilizzando le peculiarità già esistenti nell’Istituzione.

Forse in Italia questa modalità di coinvolgimento dei cittadini potrebbe essere ancora troppo futuristica. In effetti, bisognerebbe staccarsi dai retaggi delle altre epoche che hanno caratterizzato la gestione della sicurezza pubblica nel nostro Paese. Non sono ancora troppo lontani i vecchi sistemi di regime che vedevano nell’Ovra un parente stretto del grande fratello che tutt’oggi inibisce la voglia di collaborare di alcuni cittadini i quali hanno paura di essere tacciati per spioni. 

Oggi però è cambiata la percezione rispetto al significato di criminalità. Per il cittadino, adesso sono criminali anche quei comportamenti che non sono previsti come tali dal codice penale: gli atti di arroganza, di inciviltà, di aggressività anche verbale, tutte cose che oggi aumentano la diffusione della paura. Le forze dell’ordine vengono chiamate spesso e per diverse tipologie di intervento. La gente vuole la polizia vicina, sotto casa e pretende un intervento efficiente e tempestivo, inoltre, i cittadini, vogliono un feedback alle loro segnalazioni che purtroppo, per vari motivi alcuni dei quali sopra indicati, non arriva mai.

Se da una parte aumenta la richiesta di prossimità, di sicurezza partecipata, a maggior ragione necessita un ulteriore sforzo per migliorare la risposta delle forze dell’ordine.

Il lavoro delle forze di polizia, sottopone gli uomini e le donne che ne fanno parte a condizioni emotive spesso destabilizzanti, dalla sparatoria per la rapina a mano armata, al meno rischioso intervento a seguito di suicidio, incidenti stradali mortali, persone in crisi e malati mentali, ma almeno per il momento, non esistono strumenti psicologici, indispensabili per muoversi idoneamente in questi contesti. Per rispondere adeguatamente alle richieste sempre più emotivamente impattanti da parte dei cittadini, gli operatori delle forze dell’ordine devono essere messe in grado di avere le giuste conoscenze psicologiche per la gestione delle proprie emozioni e la capacità di comunicare in maniera adeguata con il cittadino specialmente quello in crisi.

Alcuni operatori di polizia, hanno un innato autocontrollo, ma non si può fare affidamento sul buon senso o sulle capacità personali di ogni operatore. Bisognerebbe, invece, dotarlo di quella che potremmo chiamare RAM delle emozioni.

Parlare di emozioni per chi indossa la divisa risulta ancora un’impresa ardua. La cultura informale delle forze di polizia scoraggia la libera espressione dei sentimenti. Del resto anche l’aspettativa sociale in questo senso è abbastanza diffusa. E’ noto che il poliziotto deve mostrare distacco e controllo delle proprie emozioni, poiché i cittadini, si aspettano che gli operatori di polizia si comportino in modo stereotipato, mostrandosi forti in situazioni difficili senza mai manifestare i propri sentimenti. Da qui, si sviluppano delle errate interpretazioni del ruolo da parte degli stessi operatori. Il poliziotto deve essere duro, distaccato, difensore della logica della giustizia, e la professione del poliziotto è considerata un lavoro che può essere svolto solo da un uomo armato che combatte il crimine. Da questa considerazione, gli americani, verso la fine degli anni ottanta, hanno effettuato uno studio relativo alla cosiddetta Sindrome di John Wayne. La loro ricerca partiva da un’attenta osservazione dell’atteggiamento dei loro poliziotti che mostravano un indurimento emotivo, caratterizzato da autoritarismo, freddezza, cinismo, eccessivo distacco. Gli agenti americani vittime della sindrome di John Wayne, erano eccessivamente concentrati sulla propria persona, il che dava luogo ad una mancanza di flessibilità verso il cittadino, con inevitabile difetto della comunicazione. Comportamenti che purtroppo a volte degeneravano in oltraggio a pubblico ufficiale oppure in situazioni peggiori che potevano rendere potenziali vittime sia gli operatori di polizia sia gli stessi cittadini in caso di scontro fisico con gli agenti.

E’ facile intuire il danno sociale arrecato da questi atteggiamenti. Il distacco che si crea tra il cittadino, amareggiato da quelle esperienze negative, e le forze dell’ordine crea un danno a tutto il meccanismo della sicurezza e della giustizia, innescando immotivati risentimenti verso tutta la categoria, che possono essere prodromici di comportamenti prevenuti da parte di fasce sociali più a rischio e che spesso sfociano in aggressioni o, in casi più fortunati in semplici ingiurie.

L’auspicio che tutti vogliamo farci, è quello di avere finalmente una collaborazione tra cittadini, forze dell’ordine e amministrazioni, che possa essere vista come una nuova filosofia di sicurezza, un fenomeno unico e sinergico che non sia limitato ad una sommatoria di elementi ma un insieme che, come risultato, dia più della somma delle sue parti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Francesco Caccetta

Criminologo; Ufficiale R.Str.E. dei Carabinieri; Laureato con lode in Laurea Magistrale in Ricerca Sociale per la sicurezza interna ed esterna, Laureato con lode in Scienze per l’investigazione e la Sicurezza; Master in Antropologia Filosofica, Criminologia e Tecniche Investigative Avanzate; grafologo della consulenza peritale. Autore del libro sul Controllo del Vicinato "L'occasione fa bene al ladro".

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