Criminologia

Dimmi cosa mangi…ti dirò come muori!

Se sapeste che tra pochi istanti sarete obbligati a percorrere il tunnel che vi porterà all’altro mondo, vi si chiuderebbe lo stomaco o avreste un grande appetito?

Personalmente a mala pena riesco a prendere un caffè prima di una giornata importante, ma se sapessi che sicuramente sarebbe l’ultima e definitiva occasione di assaggiare quell’aroma travolgente, direi di no?

Questa stessa domanda è stata la base di uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di Ricerca Sociale e Giuridica della Cornell University di Ithaca (NY).

Lo studio si basa sull’analisi del cosiddetto “ultimo pasto” richiesto dai condannati a morte poche ore prima la loro esecuzione e i dati esaminati hanno prodotto dei risultati alquanto bizzarri che non hanno portato a una conclusione certa.

Il capogruppo della ricerca, Kevin Kniffin, sostiene che chi si dichiara innocente ha una probabilità tre volte maggiore di rifiutare l’ultimo pasto rispetto a chi ha ammessa la propria colpa, sostenendo la tesi dello “stomaco chiuso”. Inoltre statisticamente i “colpevoli” chiedono pasti decisamente più calorici rispetto a chi si proclama innocente. Tutto questo potrebbe dipendere dal fatto che chi ha ammesso la propria responsabilità,  avendo la coscienza apposto, accetta il proprio destino in modo molto più sereno e consapevole.

Infatti Kniffin afferma: “Sembra che chi deve affrontare una condanna a morte per la quale non si sente colpevole abbia meno appetito rispetto al resto delle persone coinvolte nello studio, le quali, dopo aver accettato la condanna, si sentono più a loro agio. L’accettazione della sua colpa e della possibilità di venire giustiziato gli avevano permesso di godersi l’ultimo pasto.”

Lo studio condotto dalla Cornell University ha preso in esame 247 esecuzioni avvenute tra il 2002 e il 2006 in USA producendo i seguenti risultati: il 90% dei detenuti rei confessi richiedevano un ultimo pasto; il 70% dei sedicenti innocenti aveva poco appetito;  l’85%  di coloro che non si sono mai espressi voleva comunque mangiare prima dell’esecuzione.

Ovviamente queste statistiche non possono mettere in dubbio la capacità di giudizio dei tribunali ma sono affascinanti da analizzare e la correlazione tra condanna e ultima cena potrebbe essere la base di uno studio approfondito a posteriori sulla pena di morte.

Il macabro fascino di questa analisi è stato recentemente ripreso dal fotografo Henry Hargreaves, il quale ha ricreato alcuni degli ultimi pasti richiesti da famosi criminali della storia recente. Il progetto si chiama “No Seconds” ed è liberamente visionabile sul sito ufficiale del fotografo http://www.dripbook.com/hhargreaves/portfolio/no-seconds/ .

Hargreaves afferma di essersi ispirato alla moda del momento di pubblicare su Facebook, Twitter e Instagram tutte le pietanze che la gente comune prepara nella propria cucina, per inviare un messaggio forte volto a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità dell’abolizione della pena di morte.

Le foto, correlate da una breve scheda del condannato, possono essere soggette a singole analisi per capire ciò che è passato nella mente del detenuto in quell’istante. Analisi che, per ovvi motivi, non potranno essere confermate, ma che sono affascinanti per chi macabramente volesse provare a stilare un profilo post-mortem.

Per esempio: John Wayne Gacy, 53 anni,  autore di 33 omicidi, ha richiesto un secchio di pollo del KFC, patatine fritte, 12 gamberi fritti e delle fragole. Il dettaglio curioso è che Macy prima della condanna è stato direttore di ben tre ristoranti KFC!

Mentre Victor Feguer, 28 anni,  giustiziato via iniezione letale per rapimento ed omicidio, ha richiesto un’unica oliva specificando di volerla con il nocciolo all’interno. Che cosa avrà voluto comunicare?

Il caso più eclatante è stato quello di Ricky Ray Rector. E’ stato condannato per l’omicidio di un poliziotto nel 1981 seguito dal suo fallito tentativo di suicidio nel quale Rector si è sparato in testa procurandosi un grave danno cerebrale. Rector ha ordinato una bistecca, patatine fritte, salsa agrodolce e una fetta di crostata. Fin qua niente di strano, se non fosse che ha lasciato il dolce dicendo alla guardia di “tenerglielo da parte per dopo”!

Viene da chiedersi se Rector fosse in grado di capire cosa stava per accadergli. Stava solo scherzando prendendo in giro il sistema oppure non si rendeva davvero conto di stare per morire? Dunque Rector era capace di intendere e di volere e quindi condannabile a morte oppure no?

Secondo lo stesso Henry Hargreaves in un’intervista rilasciata alla rivista VICE, il bello di questo progetto è che “Ognuno ne dà una propria interpretazione […] vedo il mio lavoro come artista e come fotografo, per permettere alla gente di trarne le sue conclusioni. Non credo che dobbiamo risolvere completamente il mistero per tutti. Penso che, come tutta la buona arte, io stia anche tenendo uno specchio di fronte allo spettatore; ognuno vede qualcosa di sé nella propria reazione alle opere.”

Le interpretazioni, infatti, possono essere molteplici e se lo studio ottiene il successo sperato, casi come quelli di Ricky Rector potrebbero ribaltare dei verdetti dati per certi.

Insomma giovani e vecchi criminologi… è pronto a tavola!

Dott. Dariush Rahiminia

Fonti:

http://www.vice.com/it/read/henry-hargreaves-progetto-no-seconds-foto-pasti-condannati-a-morte

http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2373568

 http://motherboard.vice.com/it/blog/studio-su-condannati-a-morte-e-legame-con-ultimo-pasto

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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