Sociologia

I prigionieri di un mondo che manca d’esempio

“Io su di lei… Il vento su noi… La paura e passione… Pelle su pelle noi siamo gli amanti… Nel poco tempo, prigionieri di un mondo che manca d’esempio…”   (Coccinella – Biagio Antonacci) 

Questo è un articolo particolarmente ambizioso, riuscire a scrivere riguardo qualcosa che si ha dentro, che si percepisce in modo evanescente e non definito, è un’impresa non molto semplice. E’ un articolo che sta in cantiere da un bel po’ di tempo, ma come tutte le cose forzate, non sarebbe riuscito se fosse stato scritto perché obbligato.
Ricordo benissimo un fumetto letto anni fa dove Paperino passava la notte in bianco cercando di scrivere un romanzo aiutato da una musa ispiratrice molto imbranata per poi scoprire che in realtà era tutto un sogno e al risveglio trovare l’idea geniale: scrivere la storia della musa imbranata.

Questo fa pensare che finché la musa è presente, non ti rendi conto che è motivo di ispirazione. Quando si mette da parte è il momento in cui razionalizzi l’importanza che ha avuto e questo è esattamente il nostro caso: questo articolo sta nascendo esattamente dal momento in cui la musa non è più davanti a me e ha lasciato dietro di se una scia che chiamiamo ispirazione.

Tutto nasce da una serie di riflessioni ed eventi accaduti nell’arco di un tempo non ben definito e andrò a toccare più argomenti che viaggeranno sullo stesso filo conduttore.

“Prigionieri di un mondo che manca d’esempio” è la frase che mi ha colpito maggiormente fin dalla prima volta che ascoltai la canzone “Coccinella” di Biagio Antonacci. E’ la storia di un amore puro, un amore basato sulla complicità e sulla reciproca devozione, un amore semplice e per questo diverso da tutte le storie che siamo abituati a sentire oggigiorno.

Il mondo manca d’esempio, cosa vuol dire? Ovviamente non siamo nessuno per decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma se dovessimo fare un discorso morale sull’ “amore” diremmo che quasi tutti, almeno una volta nella vita, hanno vissuto una situazione sentimentale in cui non avrebbero mai creduto di potersi ritrovare. Pensate al successo del telefilm Beautiful, una storia di complotti e intrighi d’amore che va avanti da quasi trent’anni!

Charles Bukowski ha dedicato la sua intera vita ad una “mancanza di esempio”, una vita dedita a frequenti rapporti sessuali e all’alcool, una vita senza una vera e propria “dolce metà” al proprio fianco, una vita di racconti e poesie nelle quali domina una facciata di misoginia che è facilmente riscontrabile in frasi come “Non tutte le donne sono puttane, solo le mie.” e “Non essere giù perché la tua donna ti ha lasciato, ne troverai un’altra e ti lascerà anche quella.”. In realtà Bukowski è stato un grande estimatore del genere femminile, la sua vita è stata incorniciata da un cinismo che in realtà celava il desiderio nascosto di un po’ di stabilità che trovò parzialmente nella figura di Linda Beighle che, come afferma lui stesso, “mi ha regalato altri dieci anni di vita”.

I pensieri di Bukowski rispecchiano nel puro stile del “realismo sporco” i pensieri di un altro grande amante delle donne e di una vita senza limiti, un uomo vittima degli eccessi della classe del suo tempo, Oscar Wilde.

E’ risaputo che Oscar Wilde fosse un altro finto misogino, estimatore del gentil sesso ma allo stesso tempo dedito solamente al piacere che esso può donare, fisico o psicologico che esso sia. Celebre il suo aforisma “Le donne sono state fatte per essere amate, non per essere capite”, ma allo stesso tempo evidente il suo apprezzamento e allo stesso tempo timore verso il sesso debole, che tale non riteneva: “Fornite alle donne occasioni adeguate e potranno fare di tutto” oppure “Le donne non sono mai totalmente disarmate dai complimenti, gli uomini lo sono sempre”. Wilde era un convinto sostenitore del modo di dire “Dietro ad un grande uomo c’è sempre un’ancor più grande donna”. Il potere che avevano su di lui e sul suo mondo era impossibile da negare.

I concetti di amore, rapporto con l’altro sesso e tutto ciò che ne derivano, sono concetti che difficilmente esprimiamo chiaramente durante la vita quotidiana. Sono concetti che dentro di noi conosciamo alla perfezione e di cui, appunto per questo, abbiamo paura. E’ la paura che ci spinge a rischiare, è la paura che guida le nostre scelte, le nostre azioni e le nostre relazioni. Paura di fallire, paura di soffrire, paura di riuscire! E come tutte le nostre paure, tendiamo a nasconderle dentro di noi, non nominandole e affrontandole solamente quando è strettamente necessario. E’ per questo motivo che quando vediamo un film, sentiamo una storia o leggiamo un racconto in cui vi è una situazione simile ad una vissuta in prima persona ci sentiamo angosciati, ci ritroviamo come spiazzati, non riusciamo a pensare ad altro che alla nostra esperienza e ai nostri sbagli: cerchiamo la risposta ad un ipotetico “cosa sarebbe successo se io…”.

Questo tema è stato ripreso recentemente da un grande pensatore dei nostri tempi, Edgar Morin.

Morin, in occasione del convegno “Parole d’amore” a Grenoble nel marzo 1990, tenne una conferenza dal nome “ll complesso d’amore”. Leggendo la recente traduzione della conferenza, tradotto liberamente dalla sociologa Valentina Grassi (ma una vecchia traduzione si può trovare con il titolo “Amore, Poesia, Saggezza”), veniamo sbalzati di fronte alla dura realtà, le parole di Morin ci aprono gli occhi, ci fanno realizzare e razionalizzare in modo quasi tangibile tutto ciò che dentro noi conosciamo perfettamente. Per l’appunto inizia dicendo che noi tutti siamo soggetti d’amore, sottolineando come il termine “soggetto” sia un’arma a doppio taglio avendo il duplice significato di un sentimento che viviamo in prima persona e allo stesso tempo di un sentimento a cui siamo assoggettati.

Che cos’è l’amore? Una definizione soddisfacente è possibile? L’amore che si prova verso una persona che si ritiene giusta per se è uguale all’amore che una madre prova per il figlio o è uguale all’amore che si prova per un cagnolino, anche se lo si è tenuti a casa solo per poco tempo? Dunque esiste un solo amore, o vari tipi di amore?

L’amore nell’homo sapiens è qualcosa di più di un bisogno primario: è desiderio, è possessione in entrambi i sensi! Secondo Morin l’amore è uno “zingaro”: il desiderio supera tutto, trasgredisce le norme, le regole e i tabù, tende sia alla clandestinità che alla trasgressione. Nulla ha più importanza. Il sentimento non obbedisce all’ordine sociale poichè ignora le barriere o vi sbatte contro o le abbatte. Tutto per avere ciò che desideriamo. L’amore è desiderio di felicità!

Felicità che cerchiamo di continuo, in varie forme e in varie persone, finchè non troviamo quella “giusta”, quella che ci rende felice. E’ questa ricerca stessa a essere etichettata come immorale, poichè se una persona cambia spesso partner viene definita dalla società attuale come una persona “non seria”.

Spesso, inoltre, per focalizzare meglio la nostra continua ricerca abbiamo bisogno della disgiunzione tra l’amore-mito e l’amore-desiderio, sentiamo il bisogno della separazione.

Dobbiamo comprendere meglio la nostra bipolarità tramite la distanza poiché è evidente che l’uomo è un animale sociale e ha bisogno della propria metà per sentirsi pienamente completo e sentiamo la necessità di essere certi delle nostre scelte, per quanto il lieve dubbio dell’errore resti sempre.
Per quanto si possa saltare da un tentativo all’altro, è chiara la distinzione tra un amore spirituale sublimato e un desiderio infame e incontrollabile. Per quanto si crede di star bene con una persona accanto, ci si può ritrovare improvvisamente in una situazione in cui il sentimento di serenità non basta. Si sente la mancanza di quella complicità, di quel dialogo, di quella comunicazione… Come un profumo sentito nell’aria dopo tanto tempo ma del quale non si riesce a ricordare la fonte. Si realizza che quel di cui abbiamo effettivamente bisogno sono quei momenti felici in cui la pienezza del corpo e la pienezza dell’anima si incontrano.

Dunque qui si cade nuovamente nella definizione di immoralità perché ci si rende conto che forse la nuova storia non è quella “giusta”. Molte volte, anche troppe, si razionalizza che è la storia precedente quella che ci soddisfaceva di più, e si ritorna indietro. Di nuovo trasgredendo le regole, di nuovo superando le barriere. Si tenta e si ritenta, tutto in nome di quella maledetta sensazione di felicità che chiamiamo amore.

Sembra che non sia il mondo a mancare d’esempio, siamo noi stessi che non siamo essere un esempio e neppure ne vogliamo uno da seguire ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di criticare, di andare contro qualcosa, di giudicare.

Abbiamo bisogno di un capro espiatorio, di un fantoccio a cui dare la colpa della nostra paura di agire. E’ l’inazione che uccide, non la paura in se.

Ognuno ha una visione diversa di felicità, un desiderio diverso ma che porta al fine ultimo che sappiamo benissimo quale essere. Vogliamo possedere ciò che ci possiede, vogliamo controllarlo ma allo stesso tempo lo temiamo, siamo forti ma allo stesso tempo deboli e siamo coraggiosi ma allo stesso tempo spaventati.

Quindi se il mondo manca realmente d’esempio, davvero noi ne siamo prigionieri inermi? 

 

Dott. Dariush Rahiminia

 

Fonti:

Charles Bukowski, “Factotum”, TEA, 1999

Charles Bukowski,  “Donne”, TEA, 1995

Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Grey”, Feltrinelli, 2003 

Edgar Morin, “Il complesso d’amore”, Traduzione libera a cura di Valentina Grassi, 2013

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