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UNA NUOVA PATOLOGIA: L’AMAREZZA

La scoperta è del 2003, ma se analizziamo le condizioni in cui la nostra società attualmente si trova, merita oggi una particolare attenzione.

Mi riferisco al “disturbo post-traumatico da amarezza”.

Licenziamenti, conflitti e tensioni sul lavoro, condizioni di precarietà, possono causare una sindrome che comporta il progressivo disadattamento sociale e una quantità di sintomi che vanno dai problemi fisici di natura psicosomatica alla depressione.

Un’equipe di ricercatori dell’Università di Berlino ha osservato che quando l’amarezza si accompagna a paure, ansia, desiderio di vendetta, senso di impotenza, rabbia, si parla di un disturbo psicologico definito “disturbo post-traumatico da amarezza (post-traumatic embitterment disorder).

E’ post-traumatico perché i sintomi sono successivi a uno o più eventi che hanno scatenato la sintomatologia; disturbo da “amarezza” perché secondo gli psichiatri tedeschi, il problema racchiude un complesso di sentimenti di rabbia, delusione, rancore, pessimismo e vendetta che diventano dominanti per la persona che sente di aver subito un’ingiustizia.

Le persone che ne soffrono, si sono trovate ad affrontare un grande ostacolo, un problema insormontabile, fuori dalla loro volontà, tradimenti, crac finanziari, insuccessi, separazioni coniugali, non necessariamente traumi violenti, tragici, ma anche piccole delusioni ripetute che, giorno dopo giorno, non hanno visto una soluzione.

Nel PTED, la persona matura pensieri ossessivi riguardanti l’evento traumatico, pensieri di cui non è in grado di liberarsi e che alimentano un senso di colpa e di frustrazione per non essere stato in grado di evitare o di reagire diversamente agli episodi traumatici. Da ciò deriva un’alterazione della realtà, con conseguente pessimismo ed incapacità di reinserimento professionale e mantenimento di relazioni sociali.

Oggi, nella nostra società si parla anche di “sindrome da amarezza cronica”.

La causa si può identificare nella crisi di valori e di ideali, crisi ideologica, crisi religiosa e soprattutto nella crisi economica che, non offrendo prospettive lavorative, incrementa il senso di vuoto di identità e di inconsistenza personale.

Lo sconforto aumenta poi, perché la sanità pubblica non è in grado di gestire un’emergenza psico – occupazionale come quella che stiamo vivendo, di non supportare efficacemente chi perde il lavoro e chi non lo trova affatto.

Eppure si potrebbe intervenire a costo zero allestendo nelle varie Università di Psicologia dei centri operativi di ascolto e di orientamento utilizzando gli studenti come tirocinanti. Purtroppo la burocrazia e la mancanza di progettualità delle nostre istituzioni non permette operazioni simili.

Si preferisce spedire all’estero giovani e promettenti laureandi e laureati, piuttosto che formarli e metterli a lavoro qui, dove ce ne sarebbe davvero bisogno.

 

(immagine tratta da www.camillamarzocchi.it)

 

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