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Quando un corpo brucia da solo

Autocombustione di un corpoL’ autocombustione umana è definita scientificamente come  S.H.C., ossia Spontaneous Human Combustion e consiste nell’improvvisa esplosione di un corpo mediante reazione di sostanze chimiche, riferibili a gas all’interno del corpo che conducono un uomo in cenere.

Ciò che rimane di un uomo dopo un’esplosione interna sono solo le estremità, tutto il tronco viene divorato dall’incredibile voracità delle fiamme.

Di tale fenomeno se ne parla da secoli, abbiamo testimonianze addirittura di artisti del passato che ritraevano uomini divorati dalle fiamme e di ricercatori che a partire dall’antichità cercavano di dare una spiegazione a tale fenomenologia.

Alla data odierna, nel nostro Paese, alcuni ricercatori come la Dott.ssa Sabina Marchese, il Dott. Marco Garbati ed il Dott. Massimo Polidoro,  sono riusciti a delineare un quadro della problematica sia sotto l’aspetto ‘biologico’ sia quello legato alle connotazioni ‘storiche’ .

Le ricerche di settore hanno evidenziato come nel passato si è cercata sempre una correlazione fra ubriachezza e fenomeno dell’autocombustione, teorie comunque superate dagli sviluppi della biologia e dall’effettiva esaminazione delle classificazioni cellulari.

Gli sviluppi della ricerca hanno difatti smentito la coniugazione fra alcol ed autocombustione in quanto è stato appurato che per rendere un intero corpo in cenere non sarebbe sufficiente  nemmeno un forno che opera a 1.300 gradi. Ricerche di laboratorio condotte, attinenti alla tanotologia forense, hanno pertanto dimostrato che un cadavere può essere ridotto in cenere mediante una crematura che impiegherebbe sul corpo defunto una temperatura di ‘almeno’ 1.650 gradi centigradi.

In sostanza, in normali condizioni partendo dall’interno del corpo umano, in considerazione del fatto che quest’ultimo è costituito dall’ 80% di acqua, necessiterebbe di un ‘accellerante’ tipo benzene affinché il rogo divampi dall’interno. Ma sono solo teorie  e supposizioni.

Tale teoria, come spesso avviene in tale ambito di ricerca scientifica, è stata contrastata dai ricercatori Beneche e Pescod, i quali ponendo in esame 200 pazienti affetti da SHC, hanno accertato a loro dire congiunture fra ubriachezza e autocombustione.

In passato, la ricerca di pertinenza cominciò a supporre una tesi, quella relativa alla commistione intracellulare fra idrogeno ed ossigeno, che mischiata ad una certa temperatura interna del corpo procurerebbe un’ improvvisa esplosione endogena in cui un essere umano perirebbe nel giro di qualche minuto fra atroci convulsioni.

Tale teoria anzidetta, è stata l’antesignana di quella definita dei ‘fulmini globulari’, a dire il vero ancora non tanto diffusa ed apprezzata in ambito scientifico.

Tale dimostrazione scientifica spiegherebbe il fenomeno dell’autocombustione dando riferimento a fenomeni di natura magnetica poco dimostrabili in termini di rappresentazione pratico-scientifica.

Nello specifico, tale ambito della scienza spiegherebbe che una massa energetica fungendo da polo da attrazione ad una massa solida, come il corpo umano, scaraventerebbe in una mole d’appoggio naturale ogni forma di elettricità generando una naturale alterazione interna da rendere un incendio interno ad un organismo.

Sotto l’aspetto dell’analisi biologica, venne posta in esame la teoria della bioelettrodinamicità, chiamando in causa in tale ricerca dei biologi forensi, che formularono un’ ipotesi  che riguardava presunte disfunzioni genetiche che aiuterebbero a fare riscaldare delle forze elettrodinamiche che dall’interno del corpo scoppierebbero all’improvviso. Un corpo umano, quindi come un vulcano, con tanto di lava che fuoriesce all’improvviso ed impetuosamente dall’interno in un eruzione.

All’interno di tale ricerca non sono mancate fantasiose soluzioni al problema come quella suggerita dall’esorcista Padre Amorth, Presidente onorario dell’Associazione Internazionale degli esorcisti, il quale ha ribadito senza mezzi termini che l’autocombustione non è altro che la presenza oggettiva del demonio che cerca di entrare all’interno del corpo di ogni essere umano.

O quella avanzata in ambito psicologico, dalla teoria della ‘psicosomaticità della combustione’, ossia che in condizioni di assoluto disagio psicologico o di stress, i neuroni del cervello trasmetterebbero sensori simili a sostanze tossiche che ingenererebbero a partire dal dna come  droni infiammabili  similari ai gas che esplodendo dal corpo devasterebbero ogni cosa.

Ma quale è il canale scientifico di riferimento o più battuto dove la scienza si sta cimentando nei suoi emisferi di ricerca ? Nonostante le connessioni didattiche fra scienza, medicina legale, esperti di roghi, non si è riusciti ad elaborare un’omogenea ed uniforme teoria certa e la ricerca barcolla ancora fra molte supposizioni.

Una teoria che ha lasciato canali di approfondimento è stata la ricerca condotta da John Heymer, uomo della Polizia Scientifica inglese.

Secondo gli studi condotti da quest’ultimo, la fenomenologia dell’autocombustione umana è comunque legata a delle concause generanti i tumori umani fornendo delle spiegazioni precise sotto l’aspetto biologico.

I mitocondri, impercettibili organi del citoplasma, spingendo energia cellulare mediante reazione chimica, soffrirebbero di un naturale ed irridimibile malfunzionamento naturale genetico che alterando i livelli di idrogeno ed ossigeno andrebbero ad ‘istigare’ l’esplosione.  Quest’ultima avverrebbe dopo una reiterata azione a catena di tale menomazione genetica, che indurrebbe ad una inevitabile esplosione dall’interno dell’essere umano.

Tale teoria, seppur non avvalorata da ogni ambito  della scienza, sembra abbia implementato ultimamente non solo gli adepti, ma i seminari di ricerca appositi.

In relazione a ciò, secondo il Dott. Marco Garbati, innanzi alle teorie che si evidenziano e che cercano di dimostrare sotto l’aspetto scientifico il fenomeno dell’autocombustione, è bene rimanere con i piedi per terra.

In riferimento agli studi fisiologici preposti, secondo lo stesso Dott. Garbati,  ogni cellula necessita di energia e sono proprio i mitocondri a fornire l’ apporto energetico mediante reazioni chimiche.

In una ipotetica disfunzione, le trasformazioni delle molecole NAD+ in NAD sarebbero il primo sentore di una strada aperta verso l’autocombustione. Difatti,  per ciascuna di una molecola AcetilCoa vengono sganciati 5 atomi di idrogeno catturati da tre molecole NAD+ che si riducono in NAD più una di FAD e FAD2. Tale susseguirsi di elettricità biologica causerebbe un’esplosione a catena dei mitocondri  generando il fenomeno dell’autocombustione ed altresì del rogo cellulare.

Al di là delle tesi scientifiche che attendono di essere suffragate da verità omogenee, un dato statistico è stato appurato: le donne sono le vittime maggiormente colpite da tale fenomeno.

Una prima strada che probabilmente potrebbe indurre gli studiosi verso nuovi approfondimenti del problema da ricercare sotto la chiave di lettura del naturale assetto ormonale umano.

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